#Albait. La felicità è alternativa alla ricchezza?

Non abbiamo alcun bisogno di sedili di velluto per andare da casa all’ufficio, ma tendiamo a comprare le auto che li hanno, per accarezzarli mentre siamo fermi in fila. Ci piace, ci dà un pizzico di felicità. Lo stesso vale per seta o cashmere. Non ci “servono”, ci piacciono. O il tartufo o la pasta al pomodoro, la pizza, le cozze o le ostriche. Tutte le nostre scelte sono un mix di bisogno e desiderio/piacere. In genere, a vincere è il piacere. De Filippo inscenò la storia di un Natale disgraziato. Un poveraccio con figli denutriti voleva soldi per sparare due botti a Capodanno. Servivano? No. Ma era il Natale d’i ccriatur’.

In base a quante persone amano un consumo, il prezzo di quel bene sarà più caro. C’è una corrispondenza diretta tra l’affluenza verso il piacere della gran massa delle persone e il prezzo. Ecco cosa produce la moda e il “piacere”. Quindi, la somma degli acquisti, ancor più della somma della produzione, dà un’idea precisa della felicità di un popolo. La somma del piacere complessivo produce il Pil o Prodotto interno lordo.

Economisti molto celebrati parlano di contabilizzare la felicità, invece del Pil. Mentono sapendo di mentire? In realtà, propongono solo una nuova unità di misura del valore. Se dovesse funzionare, quel loro calcolo o algoritmo diventerebbe esso stesso “moneta” o “scontrino” del valore. Non cambierebbe niente. Se funzionasse.

Nell’ex Unione Sovietica il rublo era filosoficamente considerato dal partito sovietico esattamente come gli economisti alla Jean-Paul Fitoussi propongono. Non era moneta, ma scontrino del valore lavoro del proletariato. Il proletariato era felice se era incarnato nelle regole del partito. E infatti il rublo e l’organizzazione economica non funzionavano.  Per la cronaca, il rublo funziona poco anche adesso. Il perché sta nella modalità di considerazione della moneta.

Natalia Nabiullina, la governatrice della Banca centrale russa, sa perfettamente cosa sia la moneta. Il dittatore russo invece no. Con la sua cultura marxista-zarista ritiene che il valore del rublo sia una funzione della potenza, non della ricchezza, della produzione o della felicità. La potenza per lui dipende dagli ettari di terra controllati. Un’idiozia da secolo diciassettesimo e precedenti. Alcuni filoni di quell’idiozia ci perseguitano come un virus insidioso ancora oggi. I Fitoussiani e molti marxisti dimostrano questa realtà.

Se gli acquisti, quindi il Pil, corrispondono ai livelli di felicità che raggiungiamo, perché la felicità non aumenta costantemente?

La ragione sta in un equivoco. Nella nostra realtà quotidiana, i consumi ai quali diamo valore ci piacciono. Quando taluni pensatori salgono ai piani alti dell’analisi economica o filosofica, il nostro piacere diventa putrido e malsano. Ma perché? Chi sono costoro per decidere cosa mi rende felice?

Un sorriso, una bella frase poetica, una canzone sono già quotidianamente contabilizzate. Infatti, le grandi star, i poeti, scrittori, registi drammaturghi sono ricchi. Quelli meno bravi fanno la fame.

Perché Fitoussi o Putin ritengono che dobbiamo essere felici a modo loro?

La felicità è una cosa seria. La nostra valutazione sul piacere la diamo ogni volta che mettiamo mano al portafoglio o ci apriamo in un sorriso per prendere qualcosa da bere con un amico o amica.

La pace del mondo occidentale è dovuta a questa libertà di sceglierci la felicità che desideriamo. Il nostro problema è come far crescere la felicità costantemente e renderla fruibile a tutti. Salutare i vicini, evitare liti, ancor di più omicidi e guerre ci consentono di vivere e produrre meglio la nostra felicità. Se lavoriamo meno, ci godremo una passeggiata in montagna, una gita al mare, il disegno di un nuovo quadro, la composizione di una nuova poesia o la crociera su uno yacht, purché non affondi in una tempesta improvvisa, come è accaduto al Bayesian, vicino Palermo. Triste imprevedibile epilogo in un momento di felicità di persone ricchissime.

C’è un ente che abbiamo delegato ad aiutarci per mantenere efficienti libertà e produzione di felicità. È la Repubblica, Stato liberale maturo, nata in Italia nel 1946. Alcuni politici hanno cominciato a rincorrere fandonie su nuovi metodi di calcolo della felicità. Capita allora che a prendere le redini dello Stato arrivi qualcuno che intenda darci una felicità diversa da quella resa possibile da moneta e mercato.

In virtù di quella felicità inventata che non possiamo controllare, lo Stato è stato usato contro di noi. Lo scorso anno abbiamo totalizzato maggiori spese pubbliche per un 7,3 per cento rispetto alla produzione nazionale o Pil. Poiché lo Stato assorbe più del 50 per cento della nostra felicità, vale a dire del nostro denaro, ha sforato il proprio budget del 15 per cento.

Il debito produce infelicità. E lo dicono i numeri. I poveri assoluti sono aumentati, il nostro reddito realmente disponibile è mediamente diminuito, a causa della pressione fiscale e degli obblighi ai quali siamo sottoposti dallo Stato. La nostra felicità evapora col debito voluto da gente infelice che intende propagare la tristezza.

Guarda caso, chi racconta di felicità non contenute nel Pil sostiene che non dobbiamo difenderci dall’aggressività dei russi, delle teocrazie, della dittatura cinese.

Nei totalitarismi, è il regime a decidere cosa comprare, cosa fare durante il giorno, se la musica è proibita. Il valore della felicità non esiste. Chi propone una felicità come alternativa pseudo morale è complice di chi ha scatenato in tutto il mondo guerre che hanno un vero unico obiettivo: il dominio sulla libertà e la negazione della felicità. La libertà di ogni donna, uomo, bambino e loro derivazioni gender, sono possibili solo in presenza della libertà e della moneta, in un ambiente democratico. Felicità e ricchezza sono unite. Possiamo aumentarle se fossimo liberi di farlo. La felicità va estesa e difesa.

Aggiornato il 17 ottobre 2024 alle ore 13:33