Capire per prevenire

La triste vicenda di Terno d’Isola e della uccisione della giovane Sharon Verzeni ha innescato, come era da aspettarsi, l’ormai consueta polemica in merito all’immigrazione anche se, l’assassino, è di cittadinanza italiana.

L’argomento non è privo di interesse, ma l’aspetto più cruciale della cosa è piuttosto il fatto che molti commentatori sembrano chiedere coralmente che non si proceda alla solita ricerca delle motivazioni psichiatricamente rilevanti anche perché, chi ha compiuto questo gesto, aveva addosso ben quattro coltelli e ciò dovrebbe dimostrare una premeditazione lucida e consapevole. Una strana teoria per la quale la follia non può protrarsi e svilupparsi per mesi, giorni o qualche ora ma deve essere improvvisa. Finché ad assumere questa posizione è la famiglia della vittima questo atteggiamento non può che essere compreso, ma se a pretendere l’immediato riconoscimento della premeditazione lucida e consapevole è qualcuno che si esprime oralmente in televisione o attraverso articoli giornalistici su testate a larga diffusione la questione cambia decisamente valore.

Il punto centrale sta nel fatto che, a quanto si sa fino ad ora, l’assassino avrebbe dichiarato di non sapere perché ha compiuto quel gesto.

Qualche giorno fa a Siegen, in Germania, una donna ha inspiegabilmente accoltellato alcuni passeggeri del bus su cui stava viaggiando; proprio oggi un diciassettenne lombardo ha ucciso col coltello, senza ragioni note, tutti i membri della sua famiglia; negli Usa capita non raramente che qualcuno compia una strage, per motivi oscuri, con le armi lì ammesse e, dunque, uccidendo più persone; e potremmo continuare a lungo. Uno, anche se non l’unico, problema è dunque sicuramente quello della motivazione che non si risolve, ovviamente, con la pura aggettivazione per cui l’assassino è uno squilibrato, un folle o comunque uno fuori di sé.

In realtà, chi compie atti del genere è più che mai in sé ed è proprio lì che andrebbero cercate le motivazioni perché è esattamente nella dinamica dell’ego che prende forma e poi sostanza la decisione di agire. Nel caso specifico di Terno d’Isola, e di molti altri casi, assumendo come definitive le dichiarazioni del colpevole circa l’ammissione della mancanza di consapevolezza sulle origini interiori del gesto portato a termine, si profila una evidente anomalia psichiatrica che conduce ad una diagnosi tutt’altro che peregrina. Non è qui la sede più opportuna per parlare di psicanalisi, dei suoi fondamenti e delle sue esagerazioni, ma è comunque il caso di sottolineare come, da Sigmund Freud a Carl Gustav Jung, tutta questa tradizione di pensiero indichi, con varie gradazioni e differenze, nella libido e nelle sue esasperazioni patologiche o nell’aggressività non costruttiva bensì distruttiva sotto il segno di Thanatos, una psico-dinamica piuttosto diffusa anche se non sempre tale, per fortuna, da generare eventi tragici.

Le motivazioni dei crimini anche più feroci e incredibili – basti pensare all’uccisione, anni fa nel Nord-Est italiano, del padre e della madre a colpi di martello per mettere le mani sull’eredità o allo stesso crimine, con le stesse motivazioni, un paio di anni fa in Valle Camonica – forniscono un quadro giuridicamente conclusivo e anche l’opinione pubblica, preso atto della cosa, se ne fa una ragione, anche se assai triste. Allo stesso modo quando assistiamo a delitti o stragi compiuti in nome di dogmi religiosi, assieme all’orrore e alla comprensibile richiesta di repressione, abbiamo un quadro completo dell’evento. Ma se i crimini violenti non trovano alcuna finalità materiale, per quanto abominevole, all’esterno della personalità del criminale – i soldi dell’eredità come obiettivo, la premiazione divina come premio per la mattanza di infedeli, ecc. – dove dobbiamo cercarla se non all’interno, ossia nell’ego del soggetto?

Delirio di onnipotenza, magari amplificato dall’assunzione di stupefacenti, vendetta sociale per il proprio insuccesso, desiderio di “lasciare il segno” della propria esistenza – questo è tipico, nella storia politica, di figure dittatoriali – sono il terreno sul quale si innesta un’evoluzione psico-dinamica che talvolta giunge al punto di non ritorno e il soggetto, effettivamente, si trova guidato da qualcosa che gli sfugge ma che lo domina.

Ovviamente il più delle volte non si tratta di un processo on/off, improvviso e inatteso, bensì di uno sviluppo progressivo che prende l’avvio in ognuno di noi fin dalla nascita e viene temperato dal contesto famigliare, scolastico e, più in generale, relazionale e culturale. Coloro che, per qualche ragione, non si socializzano efficacemente – ossia non si integrano compiutamente – rimangono in balìa di se stessi e altamente esposti alle suggestioni del mondo attuale che, come sappiamo tutti, non è certo avaro in fatto di miraggi, obiettivi esaltanti e successi apparentemente a portata di mano.

Tutto questo, naturalmente, non implica giustificazioni o attenuanti perché la società ha il diritto e il dovere di difendersi dalla reiterazione dei crimini; implica, però, la comprensione di vicende che, nel loro ripetersi, mostrano aspetti comuni i quali, se studiati per bene, potrebbero rendere meno frequente il succedersi di simili aberrazioni. La debolezza complessiva dell’educazione contemporanea verso una maturità equilibrata delle nuove generazioni è un fatto generale e purtroppo piuttosto verosimile. Rimane tuttavia incerto, e bisognoso di studi accurati, se tutto questo incida di più sui giovani figli di immigrati che non sui figli di italiani plurigenerazionali, magari a causa di incongruenze culturali che talvolta, come sappiamo, si esprimono persino sul tema della vita da lasciare o da togliere ai propri figli culturalmente disobbedienti.

Aggiornato il 02 settembre 2024 alle ore 11:04