L’Academy intitolata a Giovanni Spadolini: intervista a Luigi Tivelli

Una “Academy” intitolata e ispirata a Giovanni Spadolini, il primo presidente del Consiglio laico nella storia della Prima Repubblica, non poteva che essere un’idea ottima per tutto quel mondo repubblicano e liberale ormai disperso tar gli pseudo partiti della Seconda Repubblica. In questa intervista Luigi Tivelli, noto saggista ed esponente storico del Partito repubblicano che fu, ci spiega il perché. E, contemporaneamente, racconta cosa si intende per merito e competenza in un Paese che, specie dopo i due Governi di Giuseppe Conte con i grillini, sembra aver perso la bussola e smarrito il significato di questi due concetti.

Presidente Tivelli, come è nata questa Academy che porta il nome di Giovanni Spadolini e, con esso, tutto il peso della storia di un’Italia che purtroppo oggi sembra non esserci più?

Spadolini è anche un simbolo per provare a superare quell’orribile presentismo, che amo definire “oggicrazia”, che domina la scena politica e giornalistica italiana. Inoltre, come scritto nell’appello-manifesto pubblicato sul Corriere della Sera, noi siamo l’Academy della Repubblica per il superamento della divisività, del troppo settarismo e del populismo. E come lei sa, da qualche settimana abbiamo lanciato l’Academy come Accademia del Talento per lo sviluppo del fattore del valore del merito e della concorrenza. Spadolini è stato, infatti, un grande talento. Che grazie al merito ha fatto tutto quello che ha fatto.

Chi ne fa parte?

L’Academy è fondata sul dialogo intergenerazionale. Non a caso, i tre vicepresidenti Maria Rita Parsi, Andrea Monorchio e Carlo Malinconico sono tutti un po’ più avanti in età del presidente. I presidenti dei due comitati, dei garanti e del gruppo tecnico-scientifico, Giuseppe De Rita e Lamberto Dini, rappresentano poi figure di grandi “vecchi”, uno di cultura cattolica e uno di cultura liberal-democratica. Ma nei comitati dell’Academy ci sono molte personalità e molti professori, molti magistrati specie amministrativi, giornalisti più o meno dell’età di mezzo. Anche se Vittorio Feltri, ad esempio, è un po’ più avanti nell’età, così come Stefano Folli, che è stato tra i primi fondatori. Ci sono poi molti giovani under 30, specie coinvolti in due comitati: uno per l’organizzazione e uno per la comunicazione. O nell’ufficio studi. Il responsabile della comunicazione è l’ex vice di Indro Montanelli al Giornale e direttore editoriale di Askanews Paolo Mazzanti, il responsabile dell’ufficio studi è il direttore generale del servizio dell’editoria e dell’informazione e docente di management e organizzazione pubblica, Luigi Fiorentino.

Come pensate di promuovere il merito e il talento in un Paese che da anni arranca tra raccomandazioni e pensiero unico egualitarista-para sindacale?

Devo dire che i giovani sono stati tutti selezionati, in un modo o nell’altro, come talenti (ad esempio, un vicesegretario generale chiave, il dottor Francesco Subiaco, ha 23 anni). E le nostre file sono aperte agli “amici dell’Academy Spadolini”. Lo spettro è largo, perché nei nostri comitati ci sono personalità come Giuliano Urbani, dell’area del centrodestra, fino a personalità come il presidente dell’Unione province italiane, Michele De Pascale, che è anche sindaco di Ravenna del Partito democratico.

Cosa pensa delle Università italiane, ma anche americane e inglesi, che più che promuovere il merito sembrano istigare i più deteriori sentimenti antioccidentali e anticapitalisti?

Nelle università italiane mi sembra che il fenomeno sia un po’ gonfiato a livello mediatico, ma a è più limitato alla fine di quanto può apparire. Quanto alle università americane e inglesi trovo un paradosso: una parte importante dei più grandi professori di quelle università sono di origine e cultura ebraiche. Sembra che si voglia fare una sorta di “Cancel culture” rispetto a Israele e al mondo ebraico. Certo, c’è il problema – lo dice uno che è sempre stato amico di Israele, unica democrazia in quell’iperbalcanizzato Medio Oriente – che Benjamin Netanyahu non mi sembra il miglior testimonial per un sostegno diffuso alla causa israeliana. Forse, in parte, contribuisce anche questo.

Tempo fa raccolsi lo sfogo di un genitore che ha fatto enormi sacrifici per fare studiare i propri figli in una delle più prestigiose università americane. E che adesso paventava di vederseli tornare indietro antisemiti, antiamericani e simpatizzanti di Hamas. Lei a questo signore che direbbe?

Già ho fatto qualche accenno nella risposta precedente. I movimenti collettivi sono difficilmente controllabili e possono succedere fenomeni di questo tipo. Ripeto, però, che se Israele si ostina a non accettare l’ipotesi dei due Stati, questo costituisce un ulteriore carburante verso quello che si può chiamare “Gazismo”, il diffuso innamoramento tra gli studenti – anche un po’ modaiolo – per Gaza, alimentato, per certi versi, dai massacri che ci sono stati nella Striscia.

In Italia, il periodo del Covid sembra chiaramente essere stato usato da forze allora al Governo per promuovere nuove forme di ingegneria e di controllo sociale. Oggi ne vediamo le conseguenze anche dal lato economico, vedi la storia del Superbonus, ma anche del turismo selvaggio e della volgarizzazione dei pochi giovani del nostro Paese, che non fuggono all’estero proprio per valorizzare il proprio talento. Come invertire una rotta che ci sta portando sugli scogli?

La via è quella della diffusione più forte possibile dei valori del merito e della concorrenza, specie tra i giovani. L’ascensore sociale, come già rilevato, è bloccato soprattutto dal fatto che i congegni congiunti del merito e della concorrenza non funzionano. E a pagare il prezzo maggiore sono i giovani. Quanto poi, al resto, mi limito a ricordare che forse la scorsa legislatura (alimentata dall’uno vale uno) è stata la peggiore di tutta la storia repubblicana. Il Superbonus e le altre decine di bonus, lo sfondamento della spesa pubblica, alimentato dalla cultura dei Cinque Stelle, è uno dei fattori che lo dimostrano. Un prezzo che, per molti anni, i contribuenti italiani dovranno ancora pagare.

Perché la parola merito fa tanta paura?

La parola “merito” fa tanta paura perché non dimentichiamo che grandi scienziati di Harvard, già dagli anni Cinquanta, a cominciare da Edward Banfield, hanno studiato in Italia il modello del familismo amorale, e purtroppo anche quello del familismo amorale degenerativo, la base social-culturale delle varie mafie. Ma nel familismo amorale, nel far predominare il valore della famiglia rispetto a quello del merito, ci sono grandi responsabilità diffuse. Ad esempio, la sinistra non ha mai colto il significato del valore del merito, che Giorgia Meloni ha provato a rilanciare. Non so però cosa saprà e potrà fare davvero il Governo Meloni su questo. Non solo perché, dopo i troppi amichetti della sinistra, abbiamo in circolazione non pochi amichetti della destra oggi. Il merito, come lo definiamo noi, è basato sul principio costituzionale dell’eguaglianza dei punti di partenza; non è un modello di merito o meritocrazia che favorirebbe i più ricchi. La sinistra è stata ed è ancora oggi un po’ sorda rispetto a questo. La destra ha un po’ il terrore della concorrenza (non che la sinistra abbia fatto molto su questo) e ogni volta che si parla dell’argomento scatta la difesa dei balneari o dei tassisti. Sa, questo è un Paese molto corporativo, imbevuto di mentalità, cultura e pratica corporativa. E ho scritto spesso, quasi sempre in solitaria, che è questa la vera eredità del fascismo contro cui bisognerebbe combattere. Non esiste un pericolo fascista di altro tipo. Il merito è l’esatto opposto di quel più o meno consapevole corporativismo che permea nella politica, nell’economia, nella burocrazia, ma anche in parte significativa della società italiana.

Esiste poi anche un problema giustizia in Italia e un problema di gestione delle carceri che, tra l’altro, ci costa milioni di euro annui per riparazioni da ingiusta detenzione o da detenzione in forma inumana e degradante. Si può metterci mano?

Non voglio dilungarmi su tutto. Ma le dico solo una cosa che mi sembra significativa. Io ho fatto anche il professore di diritto costituzionale e di amministrazione pubblica. Ebbene, l’unica volta che ho insegnato diritto costituzionale comparato in un Paese straniero è stato in Colombia, in una splendida università di Bogotá (Externado de Colombia). Vollero un corso sulla comparazione tra i diversi Consigli superiori della magistratura in vari Paesi occidentali. Avviato il corso, capii che lo volevano perché il Parlamento colombiano stava approvando una nuova legge che copiava il modello del Csm italiano. Pensai subito “Poveri colombiani, li roviniamo!”. Perché già nel 1991, ma probabilmente anche prima, si sapeva benissimo che il pesce della magistratura puzzava dalla testa. E la testa era nel Csm, da cui derivava e deriva ancora oggi il correntismo politico nella magistratura. Ricordo benissimo che grazie all’amicizia con il miglior ministro della Colombia in quel momento (io ero molto giovane lui in età più avanzata), gli chiesi, preoccupatissimo per le sorti di quel Paese che pure di problemi ne aveva non pochi, di accompagnarmi dal presidente della commissione Giustizia del Parlamento. Lui era un uomo coltissimo, intelligente, generoso, e doveva avermi presentato come chissà quale super genio ed esperto della magistratura. Fui ricevuto dal presidente con due parlamentari della maggioranza e due della minoranza. Provai a spiegare, in presenza di quel ministro (Iván Duque, padre dell’omonimo Iván Duque che fino a pochi mesi fa è stato presidente della Repubblica di Colombia), che stavano facendo una fesseria sesquipedale. Che potevano scegliere tra altri modelli europei, ma mutuare il modello italiano avrebbe creato molta più politicizzazione della magistratura e altro. Non mi ascoltarono. Però, circa un anno fa, ho saputo che in Colombia si sono ricreduti e hanno fatto una radicale riforma dell’organo superiore della magistratura. Da noi, sostanzialmente, siamo ancora nella stessa situazione. Se non si mette mano sin dalle radici al modello dell’organo di governo della Magistratura – e non basta creare i due Csm della magistratura giudicante e di quella inquirente – avremo quelle deviazioni che capitano regolarmente da parte della magistratura, ancora più favorite dalla miscela giudiziario-mediatica.

Si può risolvere questa “vexata quaestio” o, anche in questo caso, l’alleanza tra il corporativismo delle toghe sindacalizzate coniugato con il populismo politico del breve periodo di alcune forze politiche, a destra come a sinistra, farà naufragare ogni riforma?

Credo di avere già risposto. Il populismo serve a oscurare la vera natura dei problemi, a dare in pasto alla gente, man mano, Idola fori o Idola tribus e depista dalla conduzione dei veri affari del Paese. Purtroppo, c’è non poco populismo a destra e a sinistra. E, anche a causa di ciò, non si riesce a conoscere la vera natura dei veri problemi del Paese e andare alla radice di questi (compreso quello di cui stiamo parlando), di conseguenza a risolverli. L’Italia è il Paese degli Orazi e dei Curiazi. Ma solo noi abbiamo gli Orazi e i Curiazi che oltre alle spade hanno in bocca il trombone. E con la miscela tra spade e trombone non si risolve niente. Occorrerebbe mettere una sorta di silenziatore, sedare i conflitti spesso strumentali permanenti. Non a caso, noi siamo l’Academy per superare le divisività e il populismo. Il problema è di come e quanti, specie in seno alle classi politiche, ci ascoltino.

In tutti questi settori, e in altri ancora, quali sono le ricette che l’Academy che porta il nome di Giovanni Spadolini può mettere in campo sotto forma di “moral suasion”?

Quanto a “moral suasion”, noi operiamo con stile e metodo opposto rispetto a quello diffuso nel panorama politico. Siamo, ad esempio, gli unici che, poche settimane fa, hanno fatto un evento alla Camera sui pro e i contro dell’elezione diretta del premier. Mentre tutti gli altri eventi sono solo scatenati a favore o contro, imbevuti dello Schleinismo un po’ troppo diffuso a sinistra. Lo dice uno che, se avesse potuto scegliere, avrebbe previsto l’elezione di un’assemblea per la revisione costituzionale. Non ho mai creduto che in questo Parlamento, sostanzialmente di nominati, ci siano le professionalità per affrontare con serenità, equilibrio e competenza le questioni istituzionali. Questo è il nostro stile. Analogamente, ci accingiamo a presentare a breve un ottimo paper sulle vere questioni della difesa europea, fatto con il coinvolgimento di esperti ambasciatori o generali. Un nodo di fondo dell’Europa, che non si può affrontare con la logica degli Orazi e Curiazi.

Come farete a farvi dare retta in un Paese dove l’ignoranza e l’arroganza che sottendono slogan come “uno vale uno” appaiono farla da padrone?

Noi vediamo che man mano le nostre linee, spunti, proposte, suggestioni, penetrano. Ad esempio, tra le altre cose, stiamo presentando spesso il libro a mia firma I segreti del potere. Le voci del silenzio (Rai Libri) perché, oltre al mio lungo saggio introduttivo, dodici dei quattordici capitoli sono ritratti e dialoghi di personalità che hanno aderito all’Academy. Questa linea della “comunicazione” dei veri nodi del potere di parte di personalità, che di solito prediligono il silenzio, è l’esatto opposto del cicaleccio politico. Per questo sta penetrando, man mano, il metodo e il modello che seguiamo. Nei prossimi giorni, saremo il 29 giugno in un grosso evento con i giovani, un dialogo intergenerazionale, in occasione della presentazione del libro alla Sapienza. Il 31 maggio saremo a Rimini, al Grand Hotel. Il 15 a Latina con l’ottimo direttore del Tempo, il prefetto, il direttore di Latina Oggi e altri. In sintesi, quella che proviamo a fare si chiama “pedagogia civile”. Quella che bene faceva, ad esempio, esattamente fino a 100 anni fa un tale Giacomo Matteotti, ammazzato poi da una squadraccia fascista, e la cui memoria mi capita spesso di rilanciare in positivo. Noi, senza correre i rischi estremi che ha corso Matteotti, proviamo a fare pedagogia civile in vari modi. Anche Ugo La Malfa, che è stato il mio primo grande faro politico, faceva pedagogia civile, così come Giovanni Spadolini l’ha fatta da tutte le posizioni che ha man mano ricoperto, da direttore di giornale, a ministro, a presidente del Consiglio o del Senato. Io, ad esempio, sto scrivendo su sei quotidiani, a titolo gratuito, quasi sempre come presidente dell’Academy Spadolini. Il messaggio che viene da Matteotti, oltre che da uomini come Ugo La Malfa e Spadolini, è quello della pedagogia civile e del coraggio civile. Una cosa ben poco diffusa in questo Paese e che va rilanciata, non solo verso i giovani ma verso le classi politiche che ne avrebbero bisogno. Da decenni vedo più coraggio nel salire nel carro del vincitore che non un sano coraggio civile. Ma non importa, noi siamo “positivi” e proprio per questo proviamo a diffondere questi valori. In sintesi, Matteotti non è solo un martire del fascismo, così come è stato Piero Gobetti che fu il primo vero grande amore intellettuale di Giovanni Spadolini. Sono martiri della pedagogia civile e del coraggio. Da Ugo La Malfa e Giovanni Spadolini c’è altrettanto da attingere quanto a pedagogia civile e coraggio civile. Nessuno qui, per fortuna, come loro rischia di essere ucciso. Ma un po’ di studio in più e di coraggio civile in più farebbe bene un po’ a tutti, a cominciare da tanta parte della classe politica che dovrebbe dare un esempio ai giovani.

Aggiornato il 27 maggio 2024 alle ore 16:29