Senza la Deontologia è impossibile saper essere medico/2

Intervista all’ex Presidente dell’Ordine dei medici di Roma e Provincia, professor Giuseppe Lavra

Quale percorso e in che modo lei ritiene si possano superare le criticità e le distopie enunciate.

Innanzitutto, bisogna prendere atto che, per saper “essere” medici in pienezza e in coerenza di scienza e coscienza, sia necessario rimettere la Deontologia al centro della professione medica e, conseguentemente, provvedere a sanare le situazioni distopiche già menzionate. A tal fine, può essere utile ripartire dai cardini dei principi etici che ci sono stati tramandati dal medico più importante della storia della Medicina col giuramento di Ippocrate:

Giuro per Apollo medico e Asclepio e Igea e Panacea e per tutti gli dei e per tutte le dee, chiamandoli a testimoni, che eseguirò, secondo le forze e il mio giudizio, questo giuramento e questo impegno scritto: di stimare il mio maestro di quest’arte come mio padre e di vivere insieme a lui e di soccorrerlo se ha bisogno e che considererò i suoi figli come fratelli e insegnerò quest’arte, se essi desiderano apprenderla, senza richiedere compensi né patti scritti; di rendere partecipi dei precetti e degli insegnamenti orali e di ogni altra dottrina i miei figli e i figli del mio maestro e gli allievi legati da un contratto e vincolati dal giuramento del medico, ma nessun altro. Regolerò il tenore di vita per il bene dei malati secondo le mie forze e il mio giudizio; mi asterrò dal recar danno e offesa. Non somministrerò ad alcuno, neppure se richiesto, un farmaco mortale, né suggerirò un tale consiglio; similmente a nessuna donna io darò un medicinale abortivo. Con innocenza e purezza io custodirò la mia vita e la mia arte. Non opererò coloro che soffrono del male della pietra, ma mi rivolgerò a coloro che sono esperti di questa attività. In qualsiasi casa andrò, io vi entrerò per il sollievo dei malati, e mi asterrò da ogni offesa e danno volontario, e fra l'altro da ogni azione corruttrice sul corpo delle donne e degli uomini, liberi e schiavi. Ciò che io possa vedere o sentire durante il mio esercizio o anche fuori dell’esercizio sulla vita degli uomini, tacerò ciò che non è necessario sia divulgato, ritenendo come un segreto cose simili. E a me, dunque, che adempio un tale giuramento e non lo calpesto, sia concesso di godere della vita e dell'arte, onorato dagli uomini tutti per sempre; mi accada il contrario se lo violo e se spergiuro”.

Un esame sintetico del giuramento di Ippocrate consente di trovare i valori, i principi e le regole fondamentali per esercitare degnamente la professione medica:

a) l’incipit del giuramento di Ippocrate (“giuramento”) sancisce la solennità dell’impegno nel suo profondo significato valoriale, assunto appunto in forma di giuramento (“giuro per tutti gli dei e per tutte le dee”), chiamando a testimone la divinità, al cospetto della quale il medico si rivolge in una dimensione trascendente, quasi a voler superare i limiti dell’umana condizione e nella consapevolezza che tale dimensione è innata negli esseri umani, indipendentemente da come essa possa essere elaborata o declinata dalle persone;

b) il successivo elemento che Ippocrate ha ritenuto di rimarcare è il legame di amore filiale che gli allievi devono nutrire verso il maestro dell’“Arte Medica”, si tratta chiaramente di un vincolo relazionale di tipo familiare che si estende a tutti i membri tra i discenti del maestro, a significare che la professione medica ha bisogno assoluto di un riferimento magistrale specifico e diretto;

c) altro precetto di carattere valoriale del “giuramento” è la previsione della gratuità delle cure (“senza richiedere compensi né patti scritti”), che fa trasparire la consapevolezza che esista un diritto innato dell’essere umano a fruire della tutela della propria salute senza discriminazioni di alcun genere, questo principio è ancora oggi molto presente nelle intenzioni delle Istituzioni nazionali, attraverso la complessa dinamica del “terzo pagante”;

d) lo scopo esclusivo del medico, sancito dal “giuramento”, è il “bene dei malati”, alla cura dei quali egli vincola tutto se stesso, il proprio intelletto (“giudizio”), le proprie energie (“forze”) e lo stile (“tenore”) di vita;

e) il principio del “bene dei malati” stabilito nel “giuramento”, porta con sé inevitabilmente il rifiuto di provocare la morte di un essere umano, insieme al rifiuto di procurare l’aborto ed esprime con forza il principio della sacralità della vita umana, sul quale è qui utile fare riferimento solo nella dimensione valoriale, senza inoltrarsi nella complessità della legislazione in materia;

f) non può inoltre non stupire che circa 2500 anni fa già esistesse la consapevolezza dell’esistenza delle specifiche competenze delle discipline mediche e dei loro rispettivi ruoli, come riscontrabile nell’esempio del “giuramento circa la corretta gestione clinica del “male della pietra”, tenendo presente che tali aspetti sono, ancora oggi, oggetto di accesi confronti nelle organizzazioni sanitarie;

g) il successivo riferimento esplicito al rispetto dovuto all’essere umano, senza alcuna discriminazione in ordine alla condizione sociale (“uomini, liberi e schiavi”), è un altro principio immutato nel tempo e di valore universale, forse anche questo è un merito del “giuramento”; non si può certo oggi ritenere che in quel periodo storico questo principio fosse scontato;

h) come poi non meravigliarsi di trovare nel “giuramento” l’asserzione del vincolo al segreto professionale del medico che, considerando il valore e l’importanza giuridica e civile, ancora oggi riservato a tale precetto, sembra quasi attestare l’universalità e la veridicità senza tempo del “giuramento”;

i) anche la conclusione è un inno solenne al rigore che va osservato nell’esercizio della professione medica. Infatti, il “giuramento” sostiene che, ove la professione sia esercitata in armonia con esso, si invoca “sia concesso – al medico – di godere della vita e dell’arte, nonché dell’onore eterno degli uomini tutti”, mentre se al contrario il “giuramento” fosse violato o calpestato, si invoca invece che lo “spergiuro” meriti la giusta punizione. Nella conclusione del “giuramento” si ribadisce con forza la centralità del “bene dei malati”, quale missione esclusiva del medico, quasi a sottolineare una consapevole premura circa la possibilità di devianze.

Stupisce piacevolmente constatare che questi principi di civiltà siano stati scritti ai primordi della storia umana documentata ma, allo stesso tempo, desta tristezza prendere atto della necessità attuale di dover combattere affinché i contenuti del “giuramento” trovino un rinnovato rispetto. Inoltre, la crisi della Medicina e della professione medica in atto appare paradossale, alla luce dell’imponente avanzamento delle conoscenze scientifiche, della notevole disponibilità di mezzi e risorse, nonché dei diritti e delle legittime aspettative della collettività. Tuttavia, rimuovendo le cause degli inciampi storici e delle distopie, è possibile intraprendere un percorso utile anche a sanare il fatto fondamentale di aver trascurato la Deontologia medica. Vale la pena riepilogare in modo sintetico ciò che in generale è necessari vada fatto: va ricostruito un clima socio-politico capace di affrontare con efficacia le sfide epocali della Medicina moderna senza demagogie, va osservato il rispetto delle competenze e dei ruoli specifici da parte delle rappresentanze del mondo medico, va operata un’oculata gestione degli attuali alti costi della Sanità secondo il fine esclusivo del “bene dei malati”, va tenuto saldo il concetto che la tecnologia è solo un mezzo, senz’altro prezioso, ma non può essere il fine, salvo rischiare di creare ancora il “vitello d’oro”.

Infine, va ricordato che la globalizzazione e l’interdipendenza sanitaria dei popoli impongono ormai un serio confronto sui modelli sanitari internazionali, specie tra i Paesi più sviluppati, sapendo che tra questi vi è chi ha escluso la Deontologia dal proprio ordinamento. Si scoprirebbe così che l’esclusione della Deontologia può aver favorito l’esistenza di Servizi sanitari che presentano una notevole distanza tra le risorse disponibili e i risultati effettivi conseguiti in termini di accessibilità alle cure mediche da parte dell’intera collettività. In questo modo, si potrebbe anche scoprire che i modelli sanitari della “vecchia” Europa, dove la Deontologia è ancora presente, rappresenti un riferimento da custodire con più consapevolezza. Il corpo valoriale del “Giuramento” rappresenta il riferimento fondamentale dei Cdm, i quali sono oggetto di aggiornamento sostanziale da circa due secoli.

Infine, si ricorda che il Codice vigente invita il medico a “contrastare” ogni condizionamento della sua autonomia nell’esercizio della professione. Ciò significa che sia necessario separare le competenze tecnico-professionali del medico da quelle politico-gestionali del potere politico, ma nessuno pone tale richiesta. È evidente che l’autonomia professionale del medico è mutilata fa circa un trentennio. Si tratta della causa principale delle distopie qui richiamate che richiama anche lo “sfregio” del comma 566 del 2014 ancora vigente. Anche in virtù del Codice i medici dovrebbero rivendicare con forza l’autonomia nell’esercizio delle proprie “competenze”, altrimenti continueranno a non poter “servire” i malati, mentre il medico non sente alcun bisogno di invocare “separazioni di poteri”, come avviene in altri corpi sociali.

(*) Leggi la prima parte

Aggiornato il 07 luglio 2023 alle ore 10:14