Il servizio di igiene urbana è sempre uno dei più critici per la Capitale. La mancanza di sbocchi certi crea periodicamente colli di bottiglia che si ripercuotono negativamente sulla raccolta e sul decoro della città: le file interminabili di sacchetti di rifiuti fuori dai cassonetti e lungo le strade romane e l’aumento delle discariche abusive rappresentano – oltre che un insulto alle bellezze di Roma – un rilevante fattore di rischio igienico sanitario e ambientale. L’obsolescenza dei pochi impianti di trattamento dei rifiuti indifferenziati e il deficit infrastrutturale in generale, lungi dal favorire e dall’incentivare la raccolta differenziata e l’effettivo recupero di materia e di energia, hanno provocato un circolo vizioso al punto da compromettere anche la quantità e la qualità della differenziata.
Con i suoi due milioni e ottocentomila abitanti, Roma produce oltre un milione e 600mila tonnellate di rifiuti urbani (dati 2021) e tratta direttamente solo il 13 per cento degli stessi con gli unici quattro impianti della municipalizzata Ama situati tra Rocca Cencia, Laurentino e Maccarese: il 15 per cento dell’indifferenziato, il 9 per cento dell’organico e il 10 per cento di selezione del multi-materiale leggero. Ciò evidenzia una forte carenza impiantistica con un conseguente aggravio dei costi sostenuti per il conferimento dei rifiuti in altri siti di trattamento e smaltimento sparsi in Italia e in Europa.
Dopo la definitiva chiusura della discarica di servizio di Malagrotta nel 2013, le varie amministrazioni capitoline (e quella regionale a guida Zingaretti per altre irresponsabilità politiche) hanno contato su una presunta possibilità di chiudere il ciclo dei rifiuti attraverso la prevenzione e la differenziazione senza programmare gli investimenti necessari per chiudere correttamente il ciclo dei rifiuti. Il principio della prevenzione è sacrosanto, ma è altrettanto vero che il modello “rifiuti zero” ha sostanzialmente condotto a un immobilismo totale rispetto alla dotazione impiantistica indispensabile per la Capitale. Un approccio sostenuto dal populismo ecologico diffuso tra i gruppi politici della sinistra-sinistra, del Movimento 5 Stelle e delle associazioni pseudo-ambientaliste che ha generato in questi decenni la sindrome del Nimby quale atteggiamento di chi si rifiuta di ospitare “nel proprio cortile” infrastrutture strategiche per il raggiungimento degli obiettivi dell’economia circolare e per la realizzazione dell’autosufficienza (anche) energetica alla luce delle crisi geopolitiche in corso. Queste realtà non vogliono il termovalorizzatore a Santa Palomba, protestano contro la realizzazione di due biodigestori tra Casal Selce e Cesano e di ogni altra soluzione innovativa. I territori del nord Italia e le altre capitali europee, invece, hanno da tempo compreso l’importanza di questi impianti e utilizzano i rifiuti indifferenziati e quelli organici prodotti dai romani per valorizzarli e per ottenere vantaggi economici, ambientali e sociali: energia elettrica, calore termico, biometano, occupazione green e di qualità, decoro e sicurezza, tutela ambientale e della salute pubblica.
Mettere dunque la tematica della corretta gestione dei rifiuti al centro delle decisioni politiche per il rilancio di Roma diventa un obiettivo strategico e primario. A tal proposito, il Piano gestione rifiuti approvato (nella scorsa estate) dal commissario straordinario per il Giubileo Roberto Gualtieri prevede tutte le migliori tecnologie disponili per rendere autosufficiente la Capitale per le diverse filiere dei rifiuti: la realizzazione di ulteriori centri di raccolta (fino a un massimo di 30), due impianti di selezione e valorizzazione carta e plastica, due impianti di digestione anaerobica per la produzione di biometano (utile per l’autotrazione e per gli usi domestici) e di compost di qualità, un termovalorizzatore da 600mila tonnellate per la frazione indifferenziata e di ultima generazione per il recupero di energia, il riciclo delle ceneri, il controllo delle emissioni.
Queste iniziative hanno sicuramente bisogno di molta cultura e informazione chiara, rigorosa e imparziale per creare un contesto sociale favorevole all’attuazione del Piano stesso: le istituzioni locali, le università, le scuole, le associazioni di categoria, il mondo produttivo, i sindacati e le associazioni civiche avranno il compito arduo di illustrare e spiegare ai cittadini romani i contenuti del Piano rifiuti e i relativi benefici ambientali, economici e sociali e, nello stesso tempo, di far comprendere agli stessi che i rifiuti sono una risorsa da coltivare.
Aggiornato il 29 maggio 2023 alle ore 10:48