La condanna mediatica è quella che conta?

Il primo processo e la prima condanna – quella mediatica – “sono quelli che contano?”. Parafrasando la nota frase-cantilena di Mike Bongiorno ai tempi del “Rischiatutto”, si potrebbe dire così per commentare in una sola espressione il succo dell’ottimo e quasi omonimo pamphlet “La condanna mediatica. Il caso di Antonio Velardo” (Licosia editore) del giornalista Aldo Torchiaro, già firma de L’Opinione delle Libertà e oggi de Il Riformista.

Al centro della vicenda in questione c’è la storia di un broker, Antonio Velardo, immobiliarista accusato e perseguitato per anni sulla base di illazioni e ipotesi di note procure antimafia tra cui quella di Catanzaro. La constatazione – che oramai è la regola – è quella del “chi colpisce per primo, colpisce due volte”. E se escono titoloni sui maggiori giornali nazionali che ti dipingono come un riciclatore della ’ndrangheta nel settore del “real estate”, hai voglia poi a cercare di difenderti nel processo e non dal processo, come dicono i moralisti di casa nostra. Tanto, anche se vieni assolto, sempre in tempi biblici, rimane lo schiaffo che hai preso in faccia la prima volta, quando sei finito sulle pagine dei quotidiani come una specie di boss della finanza filo ’ndrangheta.

Un esempio di processo e di condanna mediatici li stiamo vivendo in questi giorni, con questa storia surreale delle presunte mazzette “de sinistra” per orientare l’opinione pubblica a favore del Qatar e dei Mondiali di calcio, che però furono decisi nel 2010. Gli accusati sono tutti del partito di Roberto Speranza, però la croce va addosso al Partito Democratico. E già questo è un paradosso. Le accuse si sostanziano sui pacchi di soldi trovati nelle case degli indagati, senza che costoro abbiano avuto accesso ai media per giustificarne anche timidamente la provenienza. E, soprattutto, non si capisce perché gli sceicchi del Qatar avrebbero dovuto buttare milioni di euro per le “pubbliche relazioni”, visto che – casomai – quelli che si dovevano corrompere erano i delegati della Uefa e della Fifa, che a suo tempo votarono a favore della competizione sportiva che è stata disputata di recente nel Paese della Penisola araba.

Mutatis mutandis, nel libro di Aldo Torchiaro si vedono le incongruenze delle accuse all’imprenditore condannato a mezzo stampa prima che il vero processo, invece, lo assolvesse. Si confutano, analiticamente, le accuse con la realtà dei fatti, poi emersa e accertata nel processo (o nei processi), e si trae una sola triste implicita conclusione: non serve essere dichiarati innocenti da un tribunale o da una Corte di assise, se poi la memoria che resta degli eventi è quella cartacea, in cui si viene condannati senza appello. E senza possibilità di alcun ricorso.

Come nei quiz di Mike Bongiorno degli anni Settanta, la prima condanna – quella mediatica – è quella che conta. E lo strapotere di quel partito dei pm, che si oppone da decenni a ogni riforma e a ogni cambiamento, si basa proprio su questo.

(*) Aldo Torchiaro, “La condanna mediatica. Il caso Antonio Velardo”, Licosia, 132 pagine, 12 euro

Aggiornato il 22 dicembre 2022 alle ore 10:37