Scripta manent

La facilità con cui da decenni le masse scendono in piazza ha qualcosa di sconcertante di per sé ma, a ben vedere, non tutte le manifestazioni sono uguali. La protesta collettiva non raramente ha ragioni comprensibili, specialmente quando si tratta di questioni legate al lavoro, ma in molti altri casi ha il sapore di una sorta di protagonismo autocelebrativo oppure di pressione sul potere centrale al fine di ottenere benefici di varia natura contando sulla quantità dei partecipanti più che sulla qualità delle richieste. In questo contesto gli studenti, dalle generazioni del ‘68 a quelle attuali, pensano costantemente di avere idee chiare e giuste su tutto ed è per questo che “scendono in piazza” con estrema disinvoltura. Il buffo è che, dalle pretese rivoluzionarie globali di cinquant’anni fa, si è passati, in questi giorni, all’orgogliosa rivolta contro, udite udite, la seconda prova scritta negli esami di maturità. Così, per l’ennesima volta, migliaia di giovani hanno voluto manifestare la propria indignazione di fronte, a loro dire, ad una vessazione che il ministero vorrebbe perpetrare a loro danno, chiedendo, e ottenendo, persino un incontro con il ministro. Sorprendentemente, ma non poi molto, anche il Consiglio superiore della pubblica istruzione si è schierato con gli studenti anche se, pare, dopo un’aspra discussione interna.

Nel momento in cui scrivo il risultato della contesa non è noto ma non escluderei una resa dell’autorità ed una vittoria dei contestatori, cosa che creerebbe l’ennesimo precedente a tutto vantaggio delle prossime, immancabili proteste per altri motivi. La ‘scandalosa’ decisione del Governo circa la seconda prova scritta è contestata dagli studenti perché, a loro parere, con la didattica a distanza non si sarebbe sviluppata una sufficiente preparazione per quel che riguarda discipline come l’italiano, per le medie inferiori, e la matematica, il latino, il greco e così via per le superiori. Dunque, invece di scendere in piazza per chiedere corsi suppletivi, come logica vorrebbe, pensano bene di eliminare del tutto la prova sostituendola con un colloquio, con questo considerando risolto il problema della verifica della propria preparazione. Sarebbe come se, dato che durante il lockdown non si poteva uscire di casa, uno non avesse potuto ricevere istruzioni pratiche di guida ma ora pretendesse di avere comunque la patente eliminando, sic et simpliciter, la relativa prova all’esame o eventualmente sostituendola con un cortese dialogo, invece di richiedere lezioni di recupero.

D’altra parte, la preferenza da parte dei giovani per un esame solo orale è del tutto coerente con la loro immersione quotidiana nel chiacchiericcio attraverso Internet, dove i testi che scrivono e leggono sono effettivamente, il più delle volte, costruiti come essi si esprimerebbero oralmente al bar. È chiaro che il solo esame orale è preferito perché costituisce una scappatoia, dato che, parlando, gli errori possono essere prontamente corretti, negati o comunque rappezzati in qualche modo mentre, se scritti, sono irrimediabili. Insomma, i ragazzi di oggi usano fiumi di parole, scritte in qualche modo nei social network, ma, paradossalmente, tremano all’idea di dover scrivere sul serio. Forse il ministro ha davvero sbagliato. Avrebbe fatto meglio a proporre una seconda prova da svolgersi via Twitter o Facebook e, forse, per la prima volta gli studenti sarebbero scesi in piazza per elogiare il Governo.

Aggiornato il 09 febbraio 2022 alle ore 13:10