Addio all’Inpgi, i giornalisti passano all’Inps

È fatta. I giornalisti professionisti passeranno all’Inps dal primo luglio 2022. Pensioni salve, autonomia persa, garanzia dello Stato tutta ancora da trovare. Lo scenario che si prospetta sul piano previdenziale della categoria mette fine alla peculiare attività professionale del giornalista, sancita dalla legge Rubinacci del 20 dicembre 1951 n. 1564, con la quale veniva riconosciuto all’Istituto Giovanni Amendola il carattere sostitutivo di tutte le forme di previdenza e assistenza obbligatoria. I legislatori degli anni Cinquanta presero in considerazione l’eventualità che i giornalisti erano esposti oltre ai normali rischi inerenti al rapporto di lavoro anche all’alea delle vicende politiche. Il Consiglio dei ministri ha inserito nella Legge di Stabilità un articolo che accoglie una delle due ipotesi formulate dalla Commissione istituita presso Palazzo Chigi, non essendo praticabile quella dell’ampliamento della platea contributiva a figure diverse del mondo della comunicazione.

Dopo mesi di discussioni e analisi non è stata trovata una strada alle perdite di bilancio che nel 2020 erano di 242 milioni, perdite dovute alla crisi dell’editoria (ridotti i giornalisti in attività a circa 15mila unità, aumentati i pensionati, 2600 ricorsi alla cassa integrazione e 500 sussidi di disoccupazione). Era l’Inpgi che pagava gli stati di crisi, i prepensionamenti, i contributi figurativi di deputati, consiglieri regionali e comunali con le sue entrate e non lo Stato. Dal 2022 la previdenza dei giornalisti passa in mano pubblica. Dalle pensioni, in essere e quelle future con calcoli diversi, alla gestione degli ammortizzatori sociali, dall’assicurazione infortuni alla governance tutto sarà gestito dal Comitato Inps. Il trasferimento di un ramo di attività dell’Inpgi (quello in deficit dei professionisti) è comprensivo delle relative risorse strumentali e finanziarie (tutto il patrimonio immobiliare). Un percorso da varare definirà gli aspetti procedurali legati alla transazione.

L’ Inpgi manterrebbe la propria autonomia continuando a gestire solo le funzioni di previdenza e assistenza obbligatoria a favore dei giornalisti (pubblicisti) che svolgono la professione in forma autonoma, ivi compresi i rapporti di collaborazione coordinata e continuata, assicurate dall’apposita gestione separata (Inpgi 2 che ha un bilancio in attivo con i suoi circa 65mila pubblicisti iscritti). Un compromesso a ribasso? Un salvataggio? Una parte della categoria ritiene che sia stata adottata la soluzione meno catastrofica. Altri evidenziano anni di errori macroscopici nella gestione dell’istituto. Secondo la presidente Marina Macelloni “abbiamo lavorato fino all’ultimo all’allargamento della platea ma in compenso abbiamo evitato il Commissariamento, salvate tutte le prestazioni maturate al 30 giugno e che l’Ente continuerà ad assicurare la previdenza dei lavoratori autonomi”.

In realtà è un mondo che finisce. Termina quel compito dell’istituto che si collocava nella categoria degli enti deputati a compiti di previdenza ed assistenza sociale obbligatoria nell’ambito dell’articolo 38 della Costituzione. L’Inpgi era l’unica istituzione che gestiva, in regime sostitutivo e con regolamentazione autonoma, tutte le forme assicurative obbligatorie di previdenza ed assistenza a favore dei giornalisti professionisti e dei familiari aventi diritto. Attualmente l’Inpgi aveva la natura giuridica di Fondazione. Nessuna soluzione di sistema, nessuna soluzione della crisi strutturale. Non è detto che il percorso tutti i giornalisti professionisti all’Inps sia quello più favorevole. Dietro l’angolo c’è la crisi dell’industria dell’editoria. Perduta l’autonomia previdenziale anche il ruolo del giornalista potrebbe cambiare.

Aggiornato il 02 novembre 2021 alle ore 16:08