Parole al vento

Come avevo osservato io stesso su questo giornale molti si chiedono perché mai, di fronte all’attuale crisi pandemica, stiamo assistendo a una continua, insistente e piuttosto misera polemica pubblica mentre, nei decenni passati, nessuno ha protestato per l’introduzione della obbligatorietà vaccinale contro numerose malattie. La risposta è assai semplice: il protagonismo che, come attitudine, risiede dentro ogni essere umano, trova oggi nei mezzi di comunicazione di massa ampia possibilità di esprimersi. Come conseguenza, una società vede riflessa la propria immagine nell’insieme delle espressioni collettive, cioè nei messaggi sulla stampa, nelle numerose trasmissioni e nei servizi radio-televisivi e sui vari canali Internet.

Se tutto questo vale in tempi ordinari, coinvolgendo politica ed economia, vicende locali e nazionali e così via, è ovvio che di fronte a una pandemia la cosa si amplifichi notevolmente mettendo a nudo, peraltro, il livello medio delle conoscenze possedute da chi si esprime. Su questo piano va detto che lo spettacolo è veramente desolante. L’accesso alla comunicazione del proprio pensiero induce nei più la scomparsa del principio di autorità, perché tutto è discutibile e il mio modo di vedere le cose vale quanto il tuo, indipendentemente dalle conoscenze che tu e io possediamo. Così, se troppi genitori mettono alla gogna gli insegnanti e troppi pazienti attaccano aspramente i medici curanti, perché mai dovremmo stupirci della critica, spesso feroce, riservata ai Comitati scientifici, ai virologi e agli epidemiologi? Il guaio è che, nella interminabile fiera delle sciocchezze proposte come verità, non manca la presenza di politici e giornalisti tutti quanti animati dal desiderio di intercettare questo o quel settore di opinione pubblica sulla base di argomentazioni immediate che, se sottoposte a una attenta analisi, si mostrano prive di qualsivoglia razionalità.

Innanzitutto, la questione del carattere emergenziale di una pandemia. Qui occorre fare ricorso al più stantio positivismo per dar ragione a chi, e sono molti, avrebbe preteso dalla scienza una risposta univoca, istantanea e garantita. Nel periodo che è stato giustamente definito come “secolo dell’incertezza”, dalla fisica alla sociologia, è veramente penoso constatare quanto sia ancora diffusa la convinzione che le varie scienze siano da rispettare e seguire solo se sanno essere “matematiche”, ossia certe, senza dibattiti interni che invece sono inevitabili e opportuni. La totale mancanza, nella formazione di base, di qualsiasi preparazione di ordine statistico e di calcolo delle probabilità lascia spazio alla vana pretesa della certezza. Qualche anno fa, dopo alcune scosse sismiche nel centro dell’Italia, di fronte alla dichiarazione da parte dei sismologi della probabilità di nuovi eventi, il sindaco di un Comune scrisse al Governo, sottolineando che i suoi cittadini esigevano certezza. E, ovviamente, non l’ottennero.

Dello stesso tenore è la serie infinita di accuse che si rivolgono agli scienziati in fatto di mascherine e distanze interpersonali, di possibilità di contagio nonostante le vaccinazioni e dei loro effetti collaterali. Nessuno si sofferma a chiedersi come mai il valore 100 per cento manchi del tutto e, al suo posto, vi siano numerose percentuali di probabilità, cosa ciò significhi e, soprattutto, quale possa mai essere l’alternativa. Da buon’ultima, per fare un solo esempio, è la sentenziosa obiezione da parte di molti, anche insigni commentatori, nei riguardi del cosiddetto Green Pass sui treni a lunga percorrenza e non sui mezzi pubblici urbani, alimentando così ulteriormente la più saccente protesta collettiva. Nessuno di loro ha riflettuto sul fatto che, come appare semplice capire, se io sto per ore nello stesso vagone la probabilità che il virus mi aggredisca (se c’è) è più elevata di quanto lo sarebbe in un bus, nel quale rimango per pochi minuti.

È d’altra parte chiaro che l’esenzione dei mezzi locali costituisce un rischio ormai quasi dovuto, poiché sovraccaricare il servizio col controllo del certificato significherebbe paralizzare le attività dalle quali tutti dipendiamo, anche quelle legate alla sanità. Decisioni bilanciate in grado di mitigare il rischio, accettandolo dove non se ne può fare a meno, sono in fondo la radice di qualsiasi strategia razionale basata sul calcolo delle probabilità. Al contrario, il vociare estenuante ispirato alla più sterile ignoranza sta assegnando all’emotività e alla miopia una netta prevalenza sulla responsabilità del pensiero critico. E ciò non promette nulla di buono.

Aggiornato il 03 settembre 2021 alle ore 09:13