Cosa è una notizia, i valori notizia, le cinque “W” (chi, cosa, dove, quando, perché o se preferite who, what, where, when, why). L’aspirante giornalista – di norma – muove i primi passi cominciando dalle basi. Che sono quelle appena elencate. Poi certo, come dicevano i maestri, servono pure “scarpe, occhi, orecchie, fiuto”. Tutto vero. In più, un minimo di delicatezza (e riservatezza) non guasterebbe. Ma ormai il banco è saltato.
L’ultimo capitolo in ordine di tempo riguarda la morte di Seid Visin: il ragazzo, non ancora 21enne, si è suicidato. Il fatto drammatico – perché quando una giovane vita si spezza è sempre un pugno allo stomaco, se poi il gesto è volontario è una sconfitta per tutti – ha avuto una cassa di risonanza per giorni e giorni. I motivi? Forse perché la vittima aveva militato nelle giovanili del Milan e aveva giocato insieme a Gianluigi Donnarumma, portiere dei rossoneri e della Nazionale di calcio. Oppure perché proveniva dall’Etiopia ed era stato adottato da una coppia di Nocera Inferiore (provincia di Salerno). O era altra la carne da mettere al fuoco per soddisfare la curiosità da salone di bellezza? No… nulla di ciò.
A mandare in tilt settore della comunicazione e avvoltoi pronti all’uso è stato un messaggio, di oltre due anni fa, firmato dallo stesso Seid e pubblicato sulla pagina social (poi rilanciato dai quotidiani e mezzi di informazione) dell’associazione “Mamme per la pelle”: “Dinanzi a questo scenario socio-politico particolare che aleggia in Italia, io, in quanto persona nera, inevitabilmente mi sento chiamato in questione. Io non sono un immigrato. Sono stato adottato quando ero piccolo. Prima di questo grande flusso migratorio ricordo con un po’ di arroganza che tutti mi amavano. Ovunque fossi, ovunque andassi, ovunque mi trovassi, tutti si rivolgevano a me con grande gioia, rispetto e curiosità. Adesso, invece, questa atmosfera di pace idilliaca sembra così lontana; sembra che misticamente si sia capovolto tutto, sembra ai miei occhi piombato l’inverno con estrema irruenza e veemenza, senza preavviso, durante una giornata serena di primavera. Adesso, ovunque io vada, ovunque io sia, ovunque mi trovi sento sulle mie spalle, come un macigno, il peso degli sguardi scettici, prevenuti, schifati e impauriti delle persone. Qualche mese fa ero riuscito a trovare un lavoro che ho dovuto lasciare, perché troppe persone, prevalentemente anziane, si rifiutavano di farsi servire da me e, come se non bastasse, come se non mi sentissi già a disagio, mi additavano anche la responsabilità del fatto che molti giovani italiani (bianchi) non trovassero lavoro”.
Tra le altre cose, Seid notava: “Con queste mie parole crude, amare, tristi, talvolta drammatiche, non voglio elemosinare commiserazione o pena, ma solo ricordare a me stesso che il disagio e la sofferenza che sto vivendo io sono una goccia d’acqua in confronto all’oceano di sofferenza che stanno vivendo quelle persone dalla spiccata e dalla vigorosa dignità, che preferiscono morire anziché condurre un’esistenza nella miseria e nell’inferno. Quelle persone che rischiano la vita, e tanti l’hanno già persa, solo per annusare, per assaporare, per assaggiare il sapore di quella che noi chiamiamo semplicemente Vita”.
Mamme per la pelle, il 4 giugno, come cappello alla lettera hanno evidenziato sulla propria bacheca social: “Seid aveva 20 anni. Non ce l’ha fatta a sopportare tutto questo dolore e questo razzismo. Si è tolto la vita ma prima ha scritto questa lettera di addio che vogliamo condividere con voi, non per cannibalizzare la notizia ma per urlare forte che se non ci uniamo in una vera lotta antirazzista, i nostri figli continueranno a soffrire”. A stretto giro (come è possibile notare dalla cronologia delle modifiche) è stato in parte corretto il tiro: “Seid aveva 20 anni. Non ce l’ha fatta a sopportare tutto il suo dolore. Si è tolto la vita. Questa una sua lettera, di qualche tempo fa, che vogliamo condividere con voi non per cannibalizzare la notizia ma per urlare forte che se non ci uniamo in una vera lotta antirazzista, i nostri figli continueranno a soffrire”.
Nel mezzo cosa è successo? Un gran ciarlare. Anzi, la soluzione facilona dell’equazione è arrivata subito: è razzismo! Commentatori, politici, personaggi più o meno noti hanno puntato il dito contro l’intolleranza che affligge il nostro Paese. Per inciso: offese o episodi di odio nei confronti di un “colore” della pelle diverso da quello della razza caucasica, purtroppo, ci sono stati, nessuno li nega. Il razzismo è una questione seria e come tale deve essere trattata ma, secondo i contorni che ha preso la vicenda, in questa storia non ci azzeccherebbe proprio niente. A tal proposito, nonostante il dolore per la morte del proprio figlio – e solo chi c’è passato sa cosa voglia dire vivere una tragedia del genere – sono stati proprio i genitori del giovane a smentire: “Il gesto estremo di Seid non deriva da episodi di razzismo”. Inoltre, è stato chiarito che quello scritto diventato di dominio pubblico è tratto da un post di Facebook di più di due anni fa. Non solo: i familiari hanno escluso che il gesto estremo possa avere un qualsivoglia legame con la pista razzista. All’Ansa il padre di Seid, Walter Visin, ha dichiarato: “Fu uno sfogo, era esasperato dal clima che si respirava in Italia. Ma nessun legame con il suo suicidio, basta speculazioni”. E ancora: “Non voglio parlare delle questioni personali di mio figlio. Dico solo che era un uomo meraviglioso”.
Così, cosa resta tra le pagine chiare e le pagine scure? Probabilmente una cosa: talvolta il razzismo, proprio come la malizia, è negli occhi di guarda. Chi doveva consegnarsi al silenzio ha deciso di parlare. E si sa, le parole vanno pesate dalla bocca da cui escono, soprattutto se cullate dalla superficialità. Perché alla fine c’è poco da aggiungere: Seid Visin è morto suicida e non aveva ancora 21 anni. Fa già male così.
Aggiornato il 07 giugno 2021 alle ore 12:10