Del Ddl Zan abbiamo detto tutto il peggio possibile: che è pericoloso, scritto male e chi ne ha più ne metta. Quello che non abbiamo ancora detto – e che diciamo ora e qui; hic et nunc – è che la colpa è degli aggettivi.
Prendiamone atto: gli aggettivi sono i veri responsabili, vorrei dire: gli artefici, della discriminazione. In verità, l’aggettivo (e un poco, anche, certi avverbi) è la madre di tutte le discriminazioni.
Bello, brutto; buono, cattivo; dolce, amaro e così via, sono scelte di campo precise, opzioni ineluttabili che connotano le parole pronunciate e gli oggetti definiti.
I sostantivi, poveri loro, salvo sparute eccezioni, non hanno colpa alcuna. L’altro giorno, mentre passeggiavo per il centro, ne ho incontrati due – colore e genere – i quali, sensibilmente irritati, mi hanno detto: “Cose da pazzi! Se la prendono tutti con noi. Non lo sanno che nomina sunt consequentia rerum? Ti sembriamo due razzisti? Prendetevela con gli aggettivi. Ogni tre passi ce ne appioppano uno. Da piazza San Carlo a piazza Castello, in meno di trecento metri, abbiamo incrociato sei ambulanti (si può dire ambulanti?) che volevano venderceli a prezzi stracciati. No, no: noi non c’entriamo un c...o. Lasciateci in pace”.
Ci ho pensato su: hanno ragione loro. I giudizi nascono dagli aggettivi. Eliminiamo quelli (ai congiuntivi ha provveduto un altro dei geni che ci rappresentano in Parlamento) e il problema sarà risolto.
Aggiornato il 26 aprile 2021 alle ore 10:57