Atmosfera Italia: riflessioni e interrogativi

Metto insieme alcuni fatti accaduti nel tempo che stiamo vivendo, che sono tra loro diversi, nel senso che appartengono a settori distinti dei cosiddetti “fatti umani”, ma che nel loro insieme mi sembra disegnino il clima, l’atmosfera, il contesto socio-politico e anche istituzionale nel quale siamo immersi, quasi senza che i più se ne accorgano.

Il primo. Ha fatto scalpore di recente la prefazione di Nicola Gratteri al libro di Angelo Giorgianni e Pasquale Bacco, Strage di Stato: le verità nascoste del Covid-19 (Lemma Press edizione). A tal punto quella prefazione è apparsa inopportuna che lo stesso autore ha ritenuto di rilasciare un’intervista a “La Repubblica”, affermando di aver commesso un “errore”, giustificato dalla circostanza di aver letto il libro incriminato solo per abstract. Non intendo fare un processo alle intenzioni, ma mi limito a mettere in ordine una serie di tasselli di puro fatto. Innanzitutto, il luogo di pubblicazione dell’intervista: La Repubblica, una delle più influenti testate giornalistiche nazionali, impegnate nel disciplinamento della lotta anti-Covid. Ospitare un mea culpa del magistrato ha il significato di una, di lui, autorevole riabilitazione pubblica. Insomma, La Repubblica si rappresenta come la indiscutibile fonte del perdono sistemico-mediatico a colui che ha riconosciuto l’errore. Novello Galileo!

E veniamo all’errore. Gratteri rivela di esservi caduto, perché si era limitato a leggere l’abstract, inviatogli dal magistrato Giorgianni. Ma l’abstract non conteneva, forse, anche il titolo del volume? Titolo peraltro incentrato su due espressioni non nuove nel panorama editoriale italiano e che rinviano alla storia tragica del secolo scorso: “strage di Stato” e “verità nascoste”. Di fronte ad espressioni così “sanguigne” (è il caso di dirlo) la scusante di una lettura solo riassuntiva del testo è inconsistente, poiché quel titolo contiene una chiara denuncia della situazione ed un imputato espressamente nominato: lo Stato. È credibile che un magistrato esperto come Gratteri in settori criminali dove le parole, le espressioni, le frasi sono indizi spesso decisivi per indagini delicate non ne sia rimasto immediatamente colpito, fino al punto di “scrivere per errore”? Delle due l’una: o il titolo del libro voleva essere solo un “colpo” pubblicitario per l’editore, a fronte di un contenuto del tutto “innocuo” per l’imputato, lo Stato; oppure quel medesimo imputato era chiarissimo fin dal titolo.

In entrambi i casi l’errore non è plausibile: o perché si sarebbe prestato volontariamente ad una operazione editoriale di cui conosceva l’inconsistenza contenutistica, o perché conosceva bene che il titolo rappresentava efficacemente la denuncia contenuta nel libro. A questo si aggiunga un passaggio dell’intervista nel quale Gratteri allude ad un possibile trasferimento a Milano, che egli però al momento ritiene di rinviare. Nella intervista, dunque, oltre alla prefazione incriminata si fa riferimento anche ad un possibile percorso di futura carriera, al quale egli stesso per il momento preferisce soprassedere. Cosa penserebbe un pm del valore e della esperienza di Nicola Gratteri di fronte ad un intreccio di “fatti indiziari” di questo tipo?

Ancora una considerazione: che Gratteri abbia rilasciato una intervista al quotidiano per emendarsi di fronte al sistema mediatico è comprensibile dal suo punto di vista. Ciò che invece non è comprensibile per chi svolge attività informativa pubblica è che il giornalista non abbia introdotto alcune osservazioni tali che il lettore, oltre a ricevere la notizia nuda e cruda, avesse argomenti per formarsi una opinione consapevole su di una vicenda estremamente delicata sia per l’argomento oggetto della questione sia per l’autorevolezza dei soggetti sotto inchiesta intellettuale: un illustre pm, Gratteri, e lo Stato (a parte gli autori del libro che vengono sommariamente liquidati come “no-vax”). Questo è un esempio di quel silenzio sostanziale che è nascosto da un contesto informativo, apparentemente trasparente: un’intervista a Gratteri su La Repubblica e le relative scuse, che colpo per la gente! Ma nessun aiuto a far capire davvero il significato sistemico del nesso errore-scuse.

Si è ormai affermato un costume mediatico che costruisce un continuum inquietante tra informazione massiva e opacità dei significati. In altre parole, la “gente” riceve una massa enorme di notizie senza, però, essere allenata alla comprensione del loro significato reale; a questo si aggiunga che le attuali tecnologie digitali hanno disabituato la persona alla riflessione; soprattutto hanno disabituato alla “lentezza” della lettura, poiché la comunicazione si risolve in un messaggio di poche righe, condito da battute impressionistiche. E così, nell’epoca della opacità del potere effettivo, viene salvata l’ipocrisia della “trasparenza” delle istituzioni democratiche. Il popolo crede di sapere, fino al punto che ognuno “dice la sua”, e in realtà vive nella oscurità più assoluta delle cose. Come si vede, i grandi classici della letteratura sono tali perché sono sempre attuali. Basti ricordare quel famoso colloquio tra il Conte Zio ed il Padre Provinciale a proposito di quella scomoda figura che era Fra’ Cristoforo: “Sopire, troncare, padre molto reverendo, troncare, sopire”.

Il racconto manzoniano ben si adatta ad un altro “sopore” indotto: quello che riguarda la carriera ministeriale del ministro della Salute. Anche qui mi limito a mettere insieme dei dati di fatto a tutti noti, che formano un quadro sulla cui immagine, tuttavia, nessuno si è mai interrogato pubblicamente, pur in un mondo mediatico che vive di sensazionalismi. Allora: quel ministro è a capo di un ministero che oggi è sicuramente uno dei più importanti e impegnativi della compagine di governo e tutti sappiamo come la destinazione dei ministeri sia oggetto di trattative allestite con il bilancino, un tempo denominato “manuale Cencelli”. Eppure, quel ministro non ha un curriculum politico particolarmente considerevole né una cultura che possa paragonarlo per esempio a Giovanni Spadolini; in più fa parte di un piccolo gruppo parlamentare della coalizione del quale, per giunta, un importante esponente non ha votato la fiducia al governo del quale egli è tuttavia ministro. Ancora. Il presidente della Repubblica a suo tempo bloccò la nomina di Paolo Savona al ministero dell’Economia, ritenendo il suo pensiero economico inopportuno per la presenza europea dell’Italia; perché, invece, non ha interferito sulla conferma dell’attuale ministro della Salute, nonostante la sua figura non rientrasse nei parametri abituali (per non dire “culturali”) del partitismo italiano? Forse perché Savona aveva un suo proprio pensiero e questo personaggio no?

Altro fatto. È di attualità la decisione del governo di procedere alle “riaperture” con la cadenza che la prudenza impone. Ancora una volta, l’ennesima purtroppo, la comunicazione mediatica gioca su due registri: paura e vaccini. Mi spiego. Primo, la paura. Anziché sottolineare il tema della gradualità del percorso di normalizzazione della vita, che educherebbe il cittadino alla autogestione responsabile, i media mettono assieme due profili confliggenti. Da un lato, una titolazione del tipo “liberi tutti”, che è evidentemente falsa, e, dall’altro, il continuare a paventare future chiusure a causa della intempestività della decisione governativa, sulla base delle consuete interviste ad alcuni ormai notissimi “esperti” scienziati. Il risultato è tenere la società sulla graticola di una paura ormai penetrata nel cervello, che ha due aspetti: diffidenza e sospettosità per l’altro, in quanto “altro”, e invidia sociale.

Un esempio, piccolo ma significativo. Nei giorni a ridosso della Pasqua un documento dei sindaci della Maremma invitava i proprietari delle “seconde case” ad avere “buon senso” e a non raggiungerle. Sembrerebbe, a tutta prima, un invito bonario; o meglio, fermo, ma rivolto con tono bonario. Si trattava, al contrario, di un messaggio assai sconcertante. Chiamare in causa, infatti, il buon senso significava introdurre in modo subliminale una serie di significati che non hanno nulla di bonario, ma fortemente discutibili sul piano etico, personale e sociale. Chi non avesse rispettato quell’invito, il proprietario della “seconda casa”, sarebbe stato una sorta di “dissennato”, insensibile al pericolo cui avrebbe esposto l’ambiente ospitante; pericolo, si badi, consistente nel solo fatto di essere a questo estraneo, straniero. Insomma, un egoista noncurante della sicurezza della comunità ospitante, nonostante che il soggiornare in una abitazione, solo perché diversa dalla principale, non comporta la violazione delle precauzioni anti-contagio che conosciamo. Il vulnus etico-sociale più grave consiste nel diffondere una idea di potenziale pericolosità a causa della mera estraneità di una persona all’ambiente ospitante, suscitando così la reazione “locale” di doversene in buona misura difendere. Ed il primo passo difensivo, sul piano psicologico, è detestare colui che obbliga a difenderti perché, con la sua sola presenza, sta mettendo a repentaglio la tua sicurezza. Quasi una forma di razzismo logistico, che pone un interrogativo circa il livello, culturale ed etico, della attuale classe dirigente.

Il secondo aspetto è l’invidia sociale. Il proprietario di una “seconda casa”, così come colui che può permettersi “il lusso” di frequentare ristoranti teatri e di andare in vacanza per più di una settimana una volta l’anno, è un “benestante” che con le limitazioni e chiusure veniva finalmente reso uguale a chi questo tipo di possibilità economiche purtroppo non se le può permettere. Allora: perché “riaprire”, quando si era finalmente raggiunta una sorta di uguagliamento in basso della classe media? Insomma: “Se io non posso permettermelo, perché tu puoi?”.

Altro esempio. Mi riferisco al sito di “Roma Capitale” destinato a ricevere “segnalazioni” da parte di cittadini che vedono “assembramenti”. Una sorta di spionaggio sociale che, evidentemente, è ritenuto eticamente commendevole, perché svolto per aiutare l’autorità amministrativa a svolgere meglio il proprio compito contro coloro che violano la norma. Quanto sia commendevole una tale iniziativa lo dimostra il ricordo storico dei capi-palazzo, che avevano il compito di denunciare all’autorità di polizia i comportamenti ritenuti sospetti dei propri vicini di abitazione. La storia di quel tempo ne ha tratto il giudizio. Ribadisco qui quanto ho poco sopra segnalato: che non vi è nulla di più efficace della paura per l’attentato possibile alla propria salute che instillare una sorta di sospetto e fastidio, se non di potenziale odio, per l’altro, solo in quanto altro, a te estraneo. Fenomeno ormai diffuso, come sappiamo, in diverse parti del pianeta, con motivazioni e cause diverse.

E ora la faccenda dei vaccini. Qui si ricorrono in modo ossessivo due tipi di comunicazioni dal contenuto opposto. La prima: i vaccini sono l’unica arma che abbiamo per sconfiggere o contenere la pandemia. Esempio Israele! Conseguenza, una sorta di passaporto vaccinale. Ma subito viene diffusa una seconda comunicazione così articolata: estrema irregolarità delle forniture, collegata alle disfunzioni regionali sui ritmi di somministrazione, ed interrogativi circa possibili effetti collaterali, di questo o quel vaccino, spesso fondati su indiscrezioni estemporanee o voci giornalistiche. Risultato: la “gente” ha paura sia del Covid che del vaccino; in più: di questo o quel vaccino. Insomma, l’unica cosa certa è la “paura”, cui però il sistema politico-mediatico oppone un ricatto: o ti vaccini o nuove chiusure.

In questo contesto si aggiunge un interrogativo fondato sulla pura razionalità logica. Premessa: esiste una pandemia fronteggiabile solo con i vaccini; conseguenza: obbligatorietà della vaccinazione, altrimenti il non vaccinato sarebbe portatore di contagio. Non seguire questo nesso logico significa non chiarire due questioni. La prima: la pandemia è una realtà epidemiologicamente accertata o potrebbe essere una bufala tecnologico-finanziaria e politico-mediatica? La seconda: lo Stato non si assume il rischio dell’obbligatorietà vaccinale, perché potrebbe essere consapevole della non sicura efficacia dei vaccini e quindi preferisce rinviare il tutto al consenso privato, salvo però tacitare e condannare come no-vax coloro che interrogativi scientificamente fondati se li pongono. In conclusione, quattro sono le parole-chiave della gestione pandemica: paura, invidia sociale, restrizioni, ricatti. Come sceneggerebbe un regista l’immagine di una popolazione che ne è preda?

 

Aggiornato il 21 aprile 2021 alle ore 11:12