Il bidone: una storia italiana

Il termine bidone in Italia ha un’interpretazione di carattere più gergale e popolare rispetto allo stesso termine in altri Paesi. Nell’uso popolare sta a significare una truffa fatta con inganno a terzi a scopo di estorsione di somme di denaro, promettendo con la falsità cose che non si potranno mai dare. Il trucco funziona specie a fronte della sprovvedutezza della vittima designata, spesso il bidone viene fatto a livelli modesti da gente che, ogni giorno, deve inventarsi come vivere in contesti di miseria. Il termine ha forse una derivazione dal pacco napoletano, che consiste nello scambiare il pacco illusorio e promesso con quello reale falso.

Il termine bidone nel senso indicato trova spazio alla componente emozionale e non a quella razionale dell’animo umano mosso dall’illusione. Il bisogno dell’illusione ha sempre tradito l’emozionalità dell’uomo, spingendolo alla ricerca di forme di sicurezza che riducano l’angoscia del vivere per lasciarsi trascinare da una facile ed insana fiducia in coloro capaci di passare per i detentori della verità insindacabile.

Sigmund Freud aveva chiarito come il principio di piacere, contrapponendosi a quello di realtà, portasse inesorabilmente l’uomo alla ricerca inesausta di illusioni. Il tema infinito dell’illusione come “ameno inganno” è un punto centrale della poesia e filosofia di Giacomo Leopardi: “Le illusioni per quanto siano illanguidite e smascherate dalla ragione, tuttavia restano ancora nel mondo, e compongono la massima parte della nostra vita” (Zibaldone).

Il bidone è stato mirabilmente rappresentato nella cinematografia italiana tra il dramma e il ridicolo amaro. Federico Fellini ne fece un film dal titolo omonimo, che finì in tragedia. Ma tutto il realismo italiano del Dopoguerra è pieno di questi episodi. Per esempio “I soliti ignoti” con i truffatori che si trovano a dividere pasta e fagioli e Totò che vende la Fontana di Trevi. Ma anche i film “La cambiale” e “I vitelloni”, Alberto Sordi “americà” e quello del “Boom”, Vittorio Gassman de “Il sorpasso” per finire alla trilogia di “Amici miei” con Ugo Tognazzi e la “supercazzola”.

Nel Paese del bidone, oggi, le illusioni alimentano tutte le bolle – finanziarie, politiche, giornalistiche, mediatiche, sanitarie – lo rappresentano confondendo tutto, ma sono alimentate dall’immaginario desiderio di distaccarsi da una realtà difficile e crudele, una realtà disumanizzante che ha travolto il senso di solidarietà antico, che sosteneva il Paese per un individualismo avido, volgare e privo di quella fantasia che ha caratterizzato i nostri grandi artisti. Siamo arrivati alla fine di un ciclo storico in cui l’immaginario costruito sul nulla si scontra con la realtà che lo disvela. È la fine di un modello socio-culturale che i grandi pensatori del secolo scorso avevano lucidamente descritto nel seguire i corsi e ricorsi della storia. Nel ciclo delle società, il declino comincia sempre dalla crescente bassa qualità degli uomini, perché i problemi non sono mai né tecnici né economici ma solo problemi di uomini. L’eredità morale dei padri fondatori si è andata disperdendo in un’aridità culturale, che troppo spesso finisce in stupidità grossolana, al punto che non ci si riesce nemmeno più a stupire del suo non-senso.

Alla fine degli anni Ottanta, il senso di Paese si è andato disperdendo a favore di una sudditanza ideologica subita acriticamente. Gli anni Ottanta hanno visto l’ultimo rigurgito di orgoglio nazionale a Sigonella con la sfida della nostra sovranità al diktat di Ronald Reagan, ma la fine dell’autonomia del Paese era segnata: saremmo diventati sempre più pupi da governare.

Gli anni Novanta con i drammi del 1992, “il vero annus horribilis”, l’attentato a Giovanni Falcone, l’attacco speculativo alla lira da parte di George Soros e Tangentopoli hanno segnato il crollo di una storia, che era iniziata nel 1945 e ci aveva portato tra le prime potenze economiche al mondo. Le crisi interne e internazionali hanno sempre più fatto scadere la qualità umana della classe dirigente, per arrivare ad oggi con una classe dirigente di persone che sembrano replicanti e mediocri attori che recitano una parte travolta dalla storia. L’affermazione della finanza come verità incontrovertibile, sostenuta da una collusione delinquenziale tra finanza, politica ed accademia, i tanti Nobel funzionali solo a legittimare la falsa finanza razionale, ha dato scacco alla politica che ne è diventata subordinata ed ancella, le spese elettorali sono cresciute a dismisura e gli eletti ne sono ostaggio.

Abbiamo politici che sono solo replicanti totalmente privi di una visione ed ostaggi di una finanza che li muove come i pupi e il puparo. Le recenti elezioni americane ne sono un esempio drammatico con “sleepy Joe” che si dimentica tutto. Donald Trump è stato vittima dei suoi errori ma che sono solo una parte ed anche piccola di quelli che hanno distrutto gli Usa, scarnificati dalla locusta della finanza che ha azzerato l’attività manifatturiera che li aveva fatti grandi. Ora la miopia e l’interesse suicida li hanno spinti a delocalizzare tutto in Cina, facendola diventare dal nulla che era la fabbrica del mondo.

La politica è diventato uno strumento funzionale a produrre utilità e così il principio di utilità ha scacciato quello del merito, di cui parlano senza rendersi conto. La progressiva e voluta incompetenza della classe dirigente ha portato a selezionare i mediocri, perché più manovrabili e ricattabili. I disastri di ogni giorno nella Pubblica amministrazione, nelle imprese, nella diffusione della malavita, nel sistema del credito che era una nostra peculiarità e, infine, nella politica fatua e priva di idee ma piena solo di roboanti proclami senza un minimo di visione storica ci mostrano quanto sia difficile avviare un cambiamento, che è essenzialmente morale e culturale, non più rinviabile, e mette a rischio la tenuta sociale.

Siamo di fronte al dramma di una società alla fine di una storia in cui le parole “potere” e “responsabilità” hanno seguito linee divergenti, ma non vi può essere potere senza responsabilità, un potere diffuso che crea centri di potere a loro volta legati e non responsabili. La politica, la finanza, la religione, la magistratura, le lobby coperte che inquinano tutto e la società rimane preda indifesa di interessi a lei estranei, che usano il termine “bene comune” come foglia di fico. Ma come scriveva Romano Guardini: “Essere in possesso di un potere che non è definito da una responsabilità morale e non controllato da un profondo rispetto della persona significa distruzione dell’umano in senso assoluto. Sempre più minacciosa diventa la perversione del potere e con essa la perversione della natura umana” (Romano Guardini, “La fine dell’epoca moderna. Il potere”, Morcelliana, 1954, pagina 178).

Oggi crediamo a tutto da media che sistematicamente nascondono la verità, a loro volta manipolati dagli interessi che li governano con un giornalismo fatto del nulla, di verità nascoste o sottaciute da altri fatti che le mettono in secondo piano. Ci siamo bevuti tutto: la falsa sacralità della finanza creativa, lo spread-magico, il rating fatto a tavolino per destabilizzare i Paesi più riottosi, la cartamoneta infinita staccata dalla realtà e priva di valore, i media sistematicamente manipolati e capaci solo di abbaiare. Abbiamo una classe politica e dirigenziale che ricorda drammaticamente un altro film storico di Fellini, “I vitelloni” , tutti sulla macchina a ripetere il gesto di Alberto Sordi come presa in giro di una società che ha fatto di tutto per meritarseli.

Il degrado tocca tutti i Paesi occidentali, come la Francia con Emmanuel Macron alla deriva e la “Brexit” che non si capisce se sia una uscita da tutto. La Germania ha, sarebbe necessario dire “aveva”, una Angela Merkel che ha imparato tanto dalla storia avendo, avuto come mentore Helmut Khol ma prima ha potuto conoscere Konrad Adenauer, Willy Brandt e la riunificazione delle due Germanie, un colosso rispetto ai nostri nani. Infine gli Usa arrivati alla fine di un lungo percorso storico, che li ha portati all’idea di una dominanza globale e che trovano ora nel Covid il loro “Muro di Berlino”.

Tutte le civiltà e società hanno le loro ciclicità: raggiunto il sommo si lasciano trascinare verso l’abisso dalla supponenza, che tradisce sempre l’uomo. Alla fine della Seconda guerra mondiale, nel 1948, Arnold Joseph Toynbee dava alle stampe il suo preveggente saggio di analisi storica “Civilization on trial” (in Italia “Civiltà al paragone”) in cui seguiva il percorso delle civiltà nella storia e scriveva: “L’evoluzione della conoscenza e della potenza tecnica ha prodotto un’occidentalizzazione del mondo senza precedenti e le altre civiltà hanno assorbito i nostri modelli culturali ed economici ma mantenendo i propri modelli culturali. Non è chiaro come reagiranno di fronte all’occupazione occidentale ma nel momento in cui scrivo (1948, ndr) credo che la consegna del bastone dell’Ecumene dalla Gran Bretagna agli Usa non durerà più dell’Impero mongolo; sembra probabile che nel lungo tempo l’Estremo Oriente detterà l’agenda del mondo” (Arnold Joseph Toynbee, opera citata, pagina 312). La Storia era già scritta ma noi non l’abbiamo voluta vedere ed ancora meno capire, l’Italia in particolare ha sofferto un lungo periodo di decozione come tutte le società nella storia. Il suo declino è cominciato in modo più evidente dall’inizio degli anni Novanta, quando una antica classe politica ha lasciato un’eredità che nessuno ha saputo cogliere. Giacomo Leopardi nello Zibaldone (1820), ancora prima di Toynbee, scriveva: “Se noi dobbiamo risvegliarci una volta e riprendere lo spirito di nazione, il primo nostro moto dev’essere, non la superbia e la stima delle nostre cose presenti, ma la vergogna” (Leopardi, volume II, pagina 228). Aveva drammaticamente ragione: infatti il termine “vergogna” è stato cancellato dal nostro vocabolario.

(*) Professore ordinario di Economia aziendale – Università Bocconi

Aggiornato il 11 marzo 2021 alle ore 10:16