Siete pronti ad intasare il sito dell’Atac per capire come mai in data 8 marzo 2021, proprio durante l’accentuarsi degli allarmi per l’epidemia covidina, è stato dichiarato lo sciopero di ben 24 ore nei servizi essenziali della mobilità pubblica a Roma? Non occorre che andiate ad intasare quel sito, basta già quanto avete dovuto intasare ogni centimetro di spazio in banchina ad aspettare la metro, e poi nei treni metropolitani. Così nella giornata dell’8 marzo, dedicata alle donne e al loro percorso storico di emancipazione, le stesse donne lavoratrici che hanno dovuto utilizzare la metro per andare in azienda o in ufficio, in assenza di limousine e di autisti, hanno provato a mantenersi a galla sulle acque dell’ipocrisia neo-scioperista.
Sul sito dell’Atac, tra le motivazioni dello sciopero, si leggeva che esso è stato indetto per “la tutela della salute e sicurezza delle lavoratrici e dei lavoratori”. Ma occorreva una sfera magica o semplicemente un po’ di empirismo e buon senso per capire che il diritto alla salute, e quello alla sicurezza delle lavoratrici e dei lavoratori che si spostano con i mezzi pubblici ogni mattina, sono stati messi a repentaglio? La realtà effettiva ancora una volta ha confutato quelle strane ortodossie sindacali, che alterano la narrativa sulle necessità comuni nel mondo del lavoro.
Per comune e semplice prevedibilità, se si dichiara uno sciopero di 24 ore nei servizi pubblici della mobilità, la gente si accalca tutta insieme nelle fasce di garanzia; conseguentemente aumentano i rischi di contagio. Aumentano soprattutto le fobie di contagiarsi, tra le persone che in piedi nella metro vedono a cinque centimetri dalla propria mascherina altra gente altrettanto impaurita, che starnutisce tra una mascherina e un’altra che si abbassa e si rialza rispetto al naso. Pare insomma che chi dichiara gli scioperi nei servizi essenziali proprio in questo momento storico, ed in particolare in questi giorni di confusione generale, proprio non ha la dovuta cura nell’unire il criterio della prevedibilità alla scelta della evitabilità. È semplice: se si può prevedere un male maggiore, quel male dev’essere prevenuto, senza se e senza ma ideologici.
Non di astrattezze vive il diritto nel suo evolversi sistematico, ma di tatto, che delle violazioni nei diritti avverte l’odore, il sapore amaro, lo stridore. E invece gli ideologi del sindacalismo scioperista di maniera, in un sub-politicamente corretto non si curano dei rischi per la salute biopsichica delle persone in carne ed ossa, appartenenti alle fasce più umili di lavoratori che malgrado il periodo pandemico sono costretti a spostarsi, necessariamente, con i mezzi pubblici. Ci sono altri modi in questo periodo, per evidenziare pubblicamente il bisogno di tutelare le lavoratrici e i lavoratori dei servizi di mobilità. Sarebbe discriminatorio, d’altronde, tutelare pochi che hanno un posto di lavoro nella mobilità per non curarsi dei tanti altri lavoratori più precari che popolano i bus e le metro. L’esercizio del diritto di sciopero è un diritto importante, figlio di battaglie serie, ma la criteriologia per la sua attuale proclamabilità non può staccarsi dalla logica pragmatica e dal buon senso di larga portata. In questo periodo va tutelato, anzitutto il diritto a spostarsi con i mezzi pubblici in sicurezza, e senza folle in mezzo alle quali l’ansia, lo stress e le preoccupazioni di non contagiarsi aumentano. Non si tratta infatti di diritti figli di un dio minore, ma di profili costituzionali di diretta incidenza sul diritto alla salute di cui all’articolo 32 della Costituzione italiana.
Il diritto di sciopero, in realtà, non può essere inteso in modo avulso e statico, ma deve essere concepito in modo dinamico, a contatto e non in astrazione dalle necessità peculiari di ogni singolo periodo storico. Anche il 23 ottobre 2020, mentre già si discuteva di nuove restrizioni, i servizi pubblici della mobilità romana hanno scioperato. Le motivazioni quale erano quella volta? Tra le motivazioni che si potevano leggere dal sito dell’Atac comparivano “servizio sanitario nazionale”, “guerra e corsa agli armamenti”, “reddito universale pubblico e per tutti”, “immigrazione”. Anche a ottobre veniva da chiedersi se con una pandemia in corso – poco dopo abbiamo avuto infatti l’Italia divisa per zone colorate in rosso o in arancione o in giallo – avesse un senso scioperare per “guerra e corsa agli armamenti”. Un’altra guerra si era consumata negli ospedali alcuni mesi prima. Per quel che concerneva la questione “immigrazione”, chi ha indetto quello sciopero in quel momento particolare non ha tenuto conto dei tanti immigrati che utilizzano i mezzi pubblici in mancanza di altre utili alternative negli spostamenti, per raggiungere i loro precarissimi e sottopagati lavori. Per quel che concerneva la tutela del “servizio sanitario nazionale”, con quello sciopero aumentavano i rischi di contagio, ammassando tutti nelle piccole fasce di garanzia all’interno dei mezzi. E aumentando i rischi di contagio sarebbe diminuito lo spazio vitale del servizio sanitario nazionale.
I nodi vengono al pettine, quando si guarda la realtà per quella ch’essa è. Sembra un’utopia non scioperare almeno per ora per cause che, ai tempi del Covid, appaiono utopie fuori luogo? Forse la bellezza delle utopie vere si coltiva meglio e concretamente all’interno delle scuole, e delle università, o nelle condivisioni di pensiero durante le pause di lavoro tra colleghi che poi possono rincontrarsi dopo il lavoro per stilare progetti, quartiere per quartiere, municipio per municipio, Stato per Stato, continente per continente, fino a nuove internazionali pragmatiche, più utili di semplici scioperi-bomboniera. Quale rispetto si ha per la psiche degli utenti dei mezzi pubblici romani? Quale rispetto si ha verso quei lavoratori italiani che ogni giorno chiudono la serranda e piangono sulle tragedie delle proprie partite Iva?
Il futuro è al femminile? Bene, anche a livello sindacale si inizi a coltivare la “concretezza”: sostantivo singolare di genere femminile da vestire con i tacchi del buon senso. Per elevarsi di pochi centimetri in più, tanto quanto basta per adocchiare la realtà oltre l’ostacolo della propria masturbazione ideologica.
Aggiornato il 09 marzo 2021 alle ore 11:56