Il gioco sporco

“Bella esperienza vivere nel terrore, in questo consiste essere uno  schiavo”, nelle parole che il replicante Roy Batty pronunzia nel finale di Blade Runner c’è la più efficace ed icastica descrizione dei correnti tempi di allucinata isteria pandemica che sembrano preludere ad un futuro, forse ancor più fosco ed inquietante di quello descritto dal genio narrativo di Philip Kindred Dick nel  romanzo da cui fu tratto il capolavoro di Ridley Scott.

La parabola filmica dell’uomo artificiale (il replicante) che si conclude – tragicamente – con l’estrema testimonianza di una pietas (salvando la vita al suo nemico) la cui potenza umanizzante prevale sul suo essere “cosa” al servizio di un brutale disegno di mercificazione biologica appare, infatti, specularmente inversa alla traiettoria distruttiva impressa dalla “pandemia” (o dovrei forse dire “pandemenza”?) verso la destrutturazione sociale e la schiavizzazione bio-securitaria di un’umanità che, nell’eclissi televisiva del senso critico, reclusa nella prigione senza sbarre del “web”, confinata in un eterno presente privo di ogni orizzonte di trascendenza, sembra aver eletto la mera sopravvivenza biologica a fine ultimo. Consegnandosi, con pavloviana obbedienza, ai dogmi mistificanti di un neopaganesimo scientista officiato, a reti unificate, da un clero sanitario professionalmente ed eticamente impresentabile.

Confermando l’aforisma di Gilbert Keith Chesterton per il quale “quando si smette di credere in Dio si comincia a credere ad ogni cosa”, si è diffuso un “culto del Covid” che ha codificato un demenziale catechismo zeppo di precetti schizofrenici (mascherine all’aperto, bizzarri saluti coi gomiti), rituali magici (“vaccinazioni” con farmaci genici sperimentali di cui non si conoscono gli effetti), suggestivi feticci totemici (le “varianti”). La superstizione pandemica erode il senso comunitario, veicolando la fobia sociopatica verso il prossimo declassato da individuo a potenziale portatore di infezione (ancorché sano); l’aberrazione pseudoscientifica del concetto di “asintomatico” conduce alla patologizzazione universale del corpo sociale, alla narcosi della protesta (mercé il “distanziamento sociale”) ed alla conseguente attuazione di paradigmi autoritari, basati sul controllo sanitario permanente, che ricordano sinistramente schemi visti all’opera (con gli  esiti tragici ben noti) nella Germania degli anni Trenta del secolo scorso.

Non si può infatti non cogliere la turpe affinità concettuale tra la “protezione dal rischio sanitario” e la “tutela della razza” o negare che lo squallido revival di “inviti alla delazione” lanciati con abietta spudoratezza da ministri della Repubblica, la sperimentazione umana di massa di farmaci genici, i deliranti progetti di “passaporti vaccinali”, la somministrazione sistematica e costante di propaganda terrorizzante a fini ipnotici, ripropongano le fosche atmosfere dei totalitarismi del ‘900.

Il gioco sporco dei cavalieri della falsa apocalisse pandemica è tanto più laido quanto più si  ammanta di ipocrite finalità “terapeutiche”, proponendo “soluzioni” scientificamente azzardate, apparecchiate da loschi “filantro-capitalisti” gettatisi nel ricco business dei “vaccini” (ogni riferimento a Bill Gates non è casuale). Il ricatto sanitario rischia di essere l’anticamera dell’inferno della tecno-dittatura, sarà bene svegliarsi per tempo dal sonno della ragione, riattivare senso critico e coscienza civile e mettere mano all’arsenale, non violento, della disobbedienza, prima che sia troppo tardi.

Aggiornato il 24 febbraio 2021 alle ore 10:36