C’è un solo problema per la ripartenza delle scuole

Basta andare all’Ikea, dove accede un flusso alto di persone, per verificare come due soli operatori – e neppure particolarmente specializzati – riescono a misurare la temperatura in tempo reale, senza fermare le centinaia di clienti in movimento. Non mi pare un fatto clamoroso, ma possibile e di questi tempi direi normale. La scuola deve ricominciare, dopo i mesi di lockdown e dopo la fine forzata dell’anno scolastico precedente. Si possono fermare gli sbarchi, chiudere le discoteche, intensificare lo Smart working, si possono sospendere parzialmente o modificare molte attività, uscite, ristoranti, palestre, partite di calcio, cinema, teatri, ma la scuola deve riprendere. E mi chiedo qual è il problema? Il rossetto rosso della ministra Lucia Azzolina? Leggo, oltre all’informazione, anche le chat di alcuni insegnanti e leggo quello che dicono. Nulla di ciò che denunciano tanti media, dove non parla la scuola, i suoi tecnici ed alunni, ma i vari rappresentanti politici con le loro battaglie e propagande.

La maggior parte dei problemi creati, classi, distanziamenti, in particolare i banchi, sono a mio parere false questioni. Ogni scuola, ogni preside, ogni dirigente una volta recepite le linee generali, sa cosa e come deve fare. Il problema è uno: chi e come deve essere misurata la temperatura ai ragazzi e ai bambini. Secondo me, come stanno facendo da mesi nei supermercati e nei centri commerciali, negli aeroporti, nei luoghi pubblici e ufficiali. Cioè all’ingresso, con il termometro a infrarossi consentendo l’entrata solo a chi non ha febbre sopra i 37,5 gradi. Cosa che forse a scuola bisognerebbe fare anche senza lo stato d’emergenza Covid. L’illusione che siano le mamme a farlo a casa, con uno, due, tre bambini da portare in orario, poi magari andando pure puntali al lavoro, è una illusione che non avverrà mai. A parte che tutte le famiglie dovrebbero spendere 50 euro per il termometro speciale perché con quello normale ci vogliono 5 minuti per ognuno, comunque le mamme i figli li vedono dal viso, dagli occhi, sentono la fronte per stabilire come stanno. E qui entriamo nella frammentazione caleidoscopica ed infernale delle tante teorie, chi è mamma vecchio stile e chi sessantottina, quella per cui il figlio anche con 38 va in piscina e l’altra per cui al primo “eccì” si resta a casa. E da qui scontri, bisticci, gruppi di violenza verbale, accuse e confusione madornale. Inoltre, anche a casa fossero davvero misurate le temperature, cosa che ripeto non esiste, la scuola dovrebbe acquisire un controllo personale e non delegabile per realizzare un controllo preliminare, fondamentale e decisivo.

Non credo serva un presidio medico, l’assunzione di infermieri specializzati, la solita furberia di sindacati, sigle e partiti. Non deve diventare come in Sardegna al Billionaire, in classe non ci devono arrivare i positivi. Perché questo sì aprirebbe e creerebbe una situazione ingestibile e difficilissima dalle gravi conseguenze allargate. Non voglio minimizzare, sia chiaro. Ovvio che sarà un banco vero di prova soprattutto la gestione dei comportamenti responsabili di giovani e docenti verso la società, la famiglia, gli anziani, i più a rischio, ma questo fa parte anche di quel corredo di maniere spesso saltate e che ritrovarle farà solo bene. Sulle mascherine, i banchi, i distanziamenti, le aule, davvero non scendo, perché non mi sento così cretina da essere presa in giro da chi appoggia una partita d’acquisto di milioni di banchi mono posto a rotelle, o da farmi arruolare alle campagne dell’opposizione che ieri glorificavano il preside che sta facendo segare i vecchi banchi di legno.

Buon senso e unitaria responsabilità, come per le mascherine. I bambini dell’asilo quanto potranno tenerle, quelli delle elementari certamente di più. In entrata e in uscita sono indispensabili, alla ricreazione e quando ci sono più occasioni di assembramenti. Alle superiori spero che siano maturi abbastanza per avere comportamenti congrui. Anche questa è scuola, insegnamento. Quanto ai docenti che mancano, pronti a marcare visita e congedi, non c’è da stupirsi. Ascolto parecchi datori di lavoro che non trovano più personale, perché tra redditi, bonus e sostegni universali sono in tanti a pensare che “lavorare non conviene”. In questo il virus non c’entra, è un malcostume diventato notizia giornaliera. La scuola non può subire l’effetto delle politiche divise, va dato un messaggio unitario e solido. A scuola si torna con rigore e per il merito.

Aggiornato il 04 settembre 2020 alle ore 13:08