Negli scontri per George Floyd i neri fanno demagogia

Torno sul tema dell’uccisione il 25 maggio durante l’arresto dell’afroamericano George Floyd a Minneapolis, che sta sollevando una furiosa ondata di rivolte, perché i particolari che emergono corroborano la tesi che avevo sostenuto a caldo, secondo la quale la discriminazione razziale non spiega del tutto il caso e rischia di alimentare una campagna insufficiente e pretestuosa.

Ma avendo toccato uno dei tabù del “mainstream”, c’è chi ha fortemente obiettato: si può tacciare il razzismo di ideologia? Anche Il Giornale dedica una riflessione al caso e riporta i dati di uno studio effettuato di recente negli Usa secondo il quale non è vero che la polizia uccide più afro-americani: nel 2017 il numero di bianchi risulta essere di 457, mentre i neri 223; nel 2018 il rapporto scende a 399 bianchi e 209 neri; nel 2019 a 370 bianchi e 235 neri.

In poche parole, tra il 2017 e il 2019 la polizia ha ucciso 1226 bianchi e 667 neri. E più di un utente ha obiettato che quando sono i neri a uccidere i poliziotti, e non accade di rado, non fa clamore. Ma forse i numeri non bastano a convincere gli antirazzisti, che giustificano gli scontri per George Floyd.

Sono convinta che alla distanza epocale di fenomeni storici autentici, come la schiavitù nera o l’olocausto, sia necessario da parte della comunicazione un sistema di indagine nuovo, che non si limiti al “politicamente corretto”, ma scavi più in profondo e vada oltre per cercare le vere cause di eventi drammatici nella fase temporale successiva alle originarie discriminazioni. Lo abbiamo visto anche in Italia, la guerra all’intolleranza rischia di essere un cartello politico usato come bassa propaganda, il che danneggia e svilisce i fondamenti democratici del contrasto alle disuguaglianze finendo col legittimare l’uso della violenza come mezzo per far prevalere diritti e ragioni.

Per non riparlare di Carlo Giuliani o Stefano Cucchi, divenute “icone” della repressione benché il giovane no global avesse assaltato una camionetta dei carabinieri e il povero Cucchi fosse vittima dello spaccio, segnalo che di recente in Italia la figlia che ha accoltellato a morte il padre che maltrattava la madre è diventata per la giurisprudenza femminista “l’eroina di genere”, al di là perfino della discriminante dell’uso della legittima difesa. Cioè a giustificare l’omicidio in questo caso basterebbe il fatto che a commetterlo sia stata una donna (ragazza) con un giusto movente sociale. A questo dobbiamo arrivare? Alla giustizia per generi, per cui per i neri, per le donne, per gli ebrei, per gli omosessuali, il ricorso alla violenza per la tutela dei propri diritti è lecito? Credo vi sia un eccesso di marxismo, e troppa teologia della Liberazione in questa visione e segnalo che l’ideale progressista della rivoluzione non solo disconosce ma oltraggia il principio evangelico della “non violenza”, che invece resta il fondamento umanitario universale per ragioni giuste e diritti onesti. Nel mondo di oggi fragile e confuso va proclamata la pace come arma soprattutto dei più deboli, non le rivolte. E nelle società future va rilanciato il primato della parola e della ragione, non l’uso della forza.


Di fronte agli scontri in corso a Minneapolis e in America sono pochissimi i neri autorevoli che abbiano condannato gli assalti, le vendette, i poliziotti uccisi e le strade messe a ferro e fuoco. Dov’è l’intellighenzia nera, dove sono i veri eredi di Martin Luther King? Sono i Ku Klux Klan che sentiamo minacciare o “riots” versione oltreoceano dei devastanti centri sociali? Quale civiltà intendono i cittadini di colore? Mi ha stupito il silenzio di Barack Obama, cui credo spetti l’indirizzo istituzionale del popolo nero piuttosto che le convenienze politiche da campagna presidenziale. La famiglia della vittima non ha condannato gli assalti, ma sull’onda delle proteste chiede che i poliziotti siano accusati di omicidio preterintenzionale e non colposo. Giustizia, solo troppa pretesa giustizia da parte della comunità nera, che vuole il riscatto con le condanne, e dal sistema che esegue la pena di morte in diretta. Ma quale giustizia può esserci nell’illegalità diffusa e diventata economia? Chi si batte contro la droga, che è il vero nemico di tantissimi neri, in America, in Africa, nuovi schiavi usati come pusher, come trafficanti, come vittime dell’uso come era George Floyd, oppure i ricchi black people che usano il peggiore dei mercati per imporsi invece del talento e dell’intelletto? E questa si chiama, non è discriminazione?

 

Aggiornato il 01 giugno 2020 alle ore 18:00