
Alla base dei sommovimenti che, attualmente, si ripetono in varie forme e per diverse ragioni contingenti in numerosi Paesi del mondo, dalla Francia al Libano, dal Cile all’Iran, risiede una tendenza che il mai a sufficienza lodato José Ortega y Gasset descrive nel 1930. Il suo notissimo La ribellione delle masse è una miniera inesauribile di potenziali citazioni, ma, nel contesto politico italiano attuale, mi piace utilizzare la seguente. Scrive Ortega, pensando agli “uomini-massa”: “Siccome non vedono nei vantaggi della civiltà una scoperta e una costruzione prodigiosa, che soltanto si possono mantenere a costo di grandi sforzi e cautele, credono che il loro ruolo si riduca a esigerle perentoriamente, come se fossero diritti nativi”. Anche se egli si riferiva alla civiltà europea a cavallo dei secoli XIX e XX, si tratta di una sentenza che calza decisamente ancora di più nei nostri giorni, in Italia in particolare. Nella nostra società da quasi venti anni sta montando una marea di populismo, di destra quanto di sinistra, che non promettono alcunché di buono per il prossimo futuro.
Il concetto stesso di “populismo” dovrebbe essere attentamente rivisto, al di là della sua imperante banalizzazione. La pressione dell’elettorato, cioè della massa degli elettori, è indubbiamente da sempre la variabile che controlla le decisioni o, comunque, le dichiarazioni pubbliche degli uomini politici nei sistemi democratici, ma l’avvento delle comunicazioni di massa e di Internet ha amplificato la cosa trasformandola in parossismo. La massa, che è un fenomeno sociologico reale e pesante, ha ovunque idee limitate ma molto precise che si possono sintetizzare nel desiderio, gridato ai quattro venti in ogni occasione, di ottenere sempre maggiore benessere, sicurezza di ogni tipo e libertà da ogni possibile ombra di dispotismo del potere. Con tutto questo, l’uomo-massa contemporaneo si ritiene, come sosteneva Ortega, intellettualmente completo, ossia un “uomo perfetto” che sa sempre e immediatamente, di fronte a qualsiasi circostanza, ciò che è giusto e ciò che non lo è e, diremmo oggi, cosa lo Stato dovrebbe fare e cosa no, e, se non lo fa, di chi sia la colpa, da scovare e punire.
Se queste sono, e lo sono, le radici più genuine del populismo, esse possono solo in parte modesta essere ricondotte alle radici stesse del liberalismo e del socialismo democratico poiché, a differenza di queste tradizioni storiche del pensiero politico, i movimenti populisti contemporanei, grazie alle comunicazioni di massa e ad Internet, stanno realizzando un corto circuito che non lascia spazio alla riflessione, alla ponderazione e, ciò che è più grave, alla delega a chi ha maggiore competenza. Su qualsiasi tema – economia, clima, riforme, migrazioni, avvenimenti internazionali ma anche eventi drammatici naturali o causati dall’azione umana – ogni fatto innesca un’immediata risposta senza appello, un po’ come avviene in biologia nel processo più semplice di autoregolazione, che segue il modello stimolo-risposta, senza l’intervento della ragione. È quanto mai ovvio come, in un quadro del genere, la massa – nel suo senso strettamente quantitativo – divenga l’unico valore in gioco. Così come ho cercato di mostrare sul tema delle migrazioni africane verso l’Europa (15/07/2019 – “Africa: navigazione virtuale e migrazione reale”), il ruolo delle comunicazioni di massa e di Internet è fondamentale. La “chiamata alle armi”, per così dire, attraverso Internet è velocissima e, se organizzata argutamente, produce immediati risultati.
Ciò è valso in vari Paesi per le numerose rivolte di massa e, in Italia, per la nascita dei 5 stelle, per le folle attorno a Greta Thunberg e, ora, per le adunate oceaniche delle cosiddette “Sardine”. Tutti quanti eventi divenuti prontamente, inutile dirlo, oggetto di pensose considerazioni e vezzeggiamenti e talora osannati da chiunque non voglia rischiare di perdere voti, lettori o ascoltatori. Ma, al di là di azioni collettive giustificate da possibili frammenti di temi di qualche rilievo, senza alcun riguardo per altri argomenti del tutto trascurati o ignorati, si tratta solo di eventi nei quali l’uomo-massa crede di potersi prendere la rivincita, attraverso la quantità, su tutto ciò che ha il sentore della difficoltà d’analisi e magari della qualità e che non si lascia certo trasferire nelle ultra-semplificazioni offerte alle piazze con tanto di metafore ora volgari, ora ridicole.
Sulle “funzioni sociali” dei 5 stelle (che avrebbero fatto da ‘argine’ a possibili quanto supposte rivolte popolari) o su quelle delle sardine (che sarebbero, secondo alcuni, salutari festeggiamenti della democrazia) lasciamo volentieri ad altri il commento, limitandoci ad osservare che, in ambedue i casi, forse, la cura si sta rivelando peggio della malattia. Ciò che preoccupa, semmai, è la disinvoltura e la frequenza con cui fenomeni come questi stanno svolgendosi testimoniando, da un lato, la facilità con cui masse notevoli di persone si lasciano trascinare dall’effimera parvenza di un facile protagonismo urlato e, dall’altro, quanto avesse motivo Ortega di citare Anatole France, secondo il quale “un imbecille è più funesto d’un malvagio: perché il malvagio qualche volta si riposa, l’imbecille mai”.
Aggiornato il 22 gennaio 2020 alle ore 13:07