La ribellione omologata

Al Liceo avevo sette in condotta, studiavo il minimo indispensabile e soprattutto soltanto quello che mi interessava veramente, quindi posso dirlo: le treccine blu, no! E lo stesso dico per i jeans strappati appositamente.

Proprio per questo condivido pienamente la fiera e intransigente opposizione di Rosalba Rotondo, dirigente dell’Istituto Alpi-Levi di Scampia che ha vietato, e che alla fine ha vinto la sua battaglia, di fatto, l’ingresso in aula a uno studente minorenne con la capigliatura afrocolorata d’indaco. Che la Scuola italiana ormai, tranne forse qualche raro caso, sia precipitata ai suoi minimi storici sia per formazione sia per studentato, mi pare sia evidente e indiscutibile e quindi qualsiasi tentativo di “raddrizzamento” di un qualcosa che è sin troppo storto, viene aggredito da parte dei soliti buonisti benpensanti con il consueto corredo di aggettivi che vanno dal “fascista” al retrogrado conservatore. Il punto non è il colore dei capelli del ragazzo, non sono neanche le treccine o i costosissimi jeans con i buchi, è che trovo sia dovere dell’istituto scolastico e dunque degli insegnanti, appunto “insegnare”, e fare questo non è soltanto impartire spesso noiose lezioni di algebra o di chimica, ma dare delle direttive che indichino il saper vivere e lo stare al mondo. Certo, a quindici anni e anche dopo si ha tutto il diritto di essere “ribelli”, ma si ha anche il dovere di capire come esserlo, ovvero più che nell’aspetto che rende tutti i giovani uguali, nel pensiero che ci rende liberi e non sudditi.

Quell’acconciatura, tanto difesa dalla famiglia, infatti non è sinonimo di individualità ma soltanto di appiattimento a una moda, di conformismo, fortunatamente però in questi giorni di aspro dibattito, proprio il giovane di Scampia ha dimostrato intelligenza e saggezza, dimostrando di aver compreso che la personalità non si esprime adeguandosi al conformismo del gregge, ma differenziandosi da esso e ha intrapreso forse il primo passo di quel difficoltoso cammino di autocoscienza che porta a conoscere la propria natura, la propria anima, anche grazie a un “divieto” da parte di un’insegnante.

La sopraffazione delle mode è oggi uno dei veicoli più subdoli che abbia a disposizione una società deviata basata esclusivamente sul consumo, su un “non pensare”, e questa pratica subliminale avviene sin da piccoli e soprattutto a scuola. Se non si ha lo zainetto con quel personaggio e, particolarmente, di quella marca si viene etichettati, esclusi, come figli di un dio minore. Diversi e alieni.

Plaudo quindi a quegli istituti scolastici che, rari da noi, più comuni nei Paesi del mondo anglosassone e in Giappone, impongono agli studenti d’indossare l’uniforme della scuola che essi frequentano, lasciando così alla loro immaginazione le possibilità di “modificarla”, adattandola alla loro singola personalità. Ecco, questa è libertà.

Aggiornato il 20 settembre 2019 alle ore 15:33