Televisione, delfini e orche ammaestrate

La televisione è un delfinario. Si giunge, non senza un certo azzardo, a questa conclusione dopo giorni di avvenimenti catodici importanti, a cominciare da Paolo Bonolis che farebbe una televisione anni Novanta, “dando il peggio di sé o illudendosi di dare il meglio” come ha scritto Aldo Grasso.

Traducendo il risultato in soldoni, quattro milioni di telespettatori con uno share di oltre il 22 per cento ci fa schifo, perché la modella è troppo bella, perché il format non mette e non leva, è troppo volgare, troppo datato, troppo leggero, troppo cretino e riesce a strappare una risata anche a me, che quando ero pischella Luca Laurenti lo ascoltavo al pianobar a Fregene e per me quello è rimasto. Ma è vero, siamo rimasti lì. E siamo oltre il meglio e ben oltre il peggio, da anni.

Nella vasca acrobatica, in cartellone hanno saltato e giocato con la palla in punta di naso in questo inizio di primavera, nell’ordine: un autista franco-italo-senegalese che per pura fortuna e per un il rotto di un cerino non ha fatto una strage di innocenti; una marionetta inquietante con uno sguardo inquietante e con delle inquietanti treccine che, stando al ciclista della domenica dei Fori Imperiali, “ha scosso le coscienze del mondo sul tema dell’ambiente”, praticamente a reti unificate; due ragazzini che vorrebbero la cittadinanza italiana ma i cui genitori non l’hanno neanche mai chiesta, a reti unificate anche loro; una tipa troppo magra con un nome all’anagrafe scelto da un cabarettista “Soleil Sorge”(...) che su un’isola in Guatemala ha un attacco isterico; Sabrina Ferilli che presenta da Nicola Porro la sua nuova fiction e discetta di giustizia minorile criminale dal suo scranno costituzionale honoris causa. Condiamo il tutto con Santa Virginia Raggi da Civitavecchia che, martire suprema del gattamortismo in quota rosa, ospite di Massimo Gilletti e circonfusa di fondotinta illuminante e sovrastata da una cotonatura che neanche la matrigna di Cenerentola, con la fierezza di madre coraggio ci ricorda che Marcello De Vito è stato fatto fuori dal partito immediatamente perché “loro sono diversi”. Infatti s’è visto.

Gli ultimi numeri che hanno incontrato il plauso del pubblico sono Luca Parnasi, l’imprenditore romano coinvolto nello scandalo dello stadio della Roma, che rincorso dal solito giornalista rincorrente gli sbatte - giustamente ed educatamente - la porta del circolo sportivo in faccia e Fabrizio Corona che torna dietro le sbarre per un boschetto di Rogoredo di troppo e una comunicazione di spostamento al magistrato di sorveglianza di meno.

Cosa accomuna le orche ammaestrate della settimana? Un sottile filo invisibile: il garantismo. Può sembrare un accostamento azzardato, ma non lo è, perché dalla fiera ittica che si è svolta per giorni in questo inizio di primavera, la riflessione che potrebbe - potrebbe - scaturirne è che tutti si professano garantisti, tutti blaterano di comprensione, di riabilitazione, che fa tanto “liberal” e quindi spessore intellettuale, che nessuno è colpevole fino a che non c’è una sentenza passata in giudicato... ma nessuno può sbagliare e siamo tutti forcaioli e spietati criticoni, giudiconi, giustizialisti senza appello in fondo in fondo. Nessuno può l’ardire di fare una tv brutta, volgare, sguaiata, accanita, “sbagliata”, di rilasciare un’intervista su temi cogenti senza averne i titoli, di avere un crollo nervoso, di manipolare una bambina, di farsi manipolare dai giornalisti che ti dicono che devi dire che vuoi la cittadinanza anche quando non la vuoi. Sembrerebbe che nessuno più possa, o debba, fare una televisione passata di moda, fare i suoi interessi semplicemente stando zitto e non subendo l’ennesima intervista eroica che se non finisce alla Brumotti con il microfono spaccato sul naso non è spettacolo. Ma allora, dei programmi di Magalli e di Guardì che sono praticamente l’anteguerra dello spettacolo ai confini con l’avanspettacolo e l’horror della banalità da pannolone geriatrico, che dovremmo dire, che dovremmo fare, bombe a mano?

In sintesi e tornando alla scaturigine della riflessione: gli ambientalisti hanno denunciato Bonolis perché reo di sfruttare gli animali per fare spettacolo. Ma, perché, tutti gli altri programmi non fanno, da sempre, più o meno lo stesso, per fare spettacolo, appunto?

Se nessuno “sbagliasse” mai, se non ci fosse “l’animale” di turno di cosa staremmo a parlare? Cosa deprecheremmo, di cosa staremmo a criticare? Se non facessimo saltare i cefali più o meno a comando che cosa guarderebbe la gente? Ah beh, c’è sempre Alberto Angela, anche lui nella nottola della settimana, che fa ascolti stratosferici e ti sballa tutto perché fa saltare il banco e non il saltimbanco.

Ma non è che con tutte queste iniezioni di moralismo buonista perfezionista finto garantista e non più radical ma “proletar chic” da cui nemmeno l’intrattenimento sembrerebbe essersi salvato ( e nemmeno le menti brillanti) siamo diventati tutti un po’ troppo perfettini? Il modello di riferimento è ormai il vice premier bambolino che ha fatto i compitini con la Cina a Palazzo Madama e viene a ridircelo in televisione? (fuoriprogramma con muta, pinne ed occhiali). E a noi spettatori chi ci garantisce? Dovesse arrivare un po’ di cultura in tivù… un po’ di gente preparata che sa di quello di cui parla, un po’ di contenuti...

Non sia mai! Viva i cefali, viva i delfini, viva le orche! Assassine e possibilmente ignoranti, “the show must go on”. Rivendicare il diritto a sbagliare, in televisione e fuori, perché anche questo è garantismo, quello vero.

Aggiornato il 26 marzo 2019 alle ore 11:40