
Partiamo da una premessa. Il ruolo spirituale di un papa e quello pastorale, nel più ampio senso del termine, sono due cose decisamente diverse. Mentre il primo implica il riferimento e la coerenza con la teologia cattolica il secondo riguarda l’espressione, da parte di un pontefice, di tesi e dottrine che non possono non situarsi nella storia e, dunque, nella politica. Si tratta di una distinzione che la stessa “infallibilità” papale mette in chiaro riservandola alle questioni teologiche e non certo alle valutazioni ideologiche, anche se, essendo il capo di uno Stato, il papa può rendere pubbliche dichiarazioni “secolari”. Questa premessa è necessaria per interpretare correttamente un papato ma anche per comprendere la larga e commovente reazione connessa alla scomparsa di Papa Francesco. Quest’ultima è piuttosto facile da spiegare poiché si è generata sulla base di una reale testimonianza nonché di una definizione – “il Papa degli ultimi” – dalla sicura efficacia popolare. Ma l’analisi del papato richiede altri criteri, discutendo i quali non può che emergere la consueta domanda sul carattere di destra o di sinistra delle sentenze e dei proclami non teologici del pontefice.
Chi non accetta questa impostazione mostra di preferire una visione ipocrita nel senso etimologico del termine, ossia una visione che “finge” di non vedere ciò che è peraltro davanti agli occhi di tutti. Nel caso della pronuncia secolare del papa appena scomparso la sua concezione della politica, nel senso più generale della parola, è stata chiarissima e, schierandosi con gli “ultimi”, ha implicitamente, ma talora anche esplicitamente, messo all’indice i “primi”, ossia i non poveri. Esprimendo quindi una visione “strutturale” più che “morale” e assumendo come bersaglio i modelli politico-economici liberali. Tuttavia, sul piano logico, sussiste una sottile incongruenza. Gesù disse che un ricco entrerebbe in Paradiso con la stessa probabilità con cui un cammello riuscirebbe a passare per la cruna di un ago ma, secondo Matteo, proseguì ricordando che Dio potrebbe superare il problema della cruna, data la sua potenza infinita.
Tutto ciò dovrebbe quindi indurre a pregare per l’incerto destino dei ricchi, in perenne rischio di perdere l’anima, e non solo per i poveri, destinatari certi di premiazione nell’Aldilà. Il guaio è che troppa gente guarda ai ricchi – anche se onesti, generosi e soprattutto intraprendenti – come se il solo fatto di esserlo fosse un reato morale. Ma che un papa si allinei a questa linea sembra piuttosto sorprendente. In termini complessivi, Papa Francesco non ha svolto alcuna funzione originale nel senso che, invece di limitarsi a richiamare il dovere morale dei benestanti di occuparsi dei più sfortunati e, semmai, a non eccedere nella sciocca e dannosa esibizione dei propri beni materiali, egli ha lanciato vere e proprie invettive contro chi produce ricchezza anche se è proprio dal loro successo che, se il sistema politico funziona, possono derivare le risorse necessarie per dare sostegno a chi vive nel bisogno.
Siamo dunque alle solite: è da molte generazioni che la Chiesa cattolica, un tempo accusata da uomini come Martin Luther e Jehan Cauvin di puntare sull’arricchimento, si è fatta accusatrice della ricchezza altrui, senza peraltro dichiarare pienamente l’urgenza di un sistema politico diverso ma, allo stesso tempo, senza concentrare le proprie critiche sulla sola sede plausibile del “male”, cioè la coscienza individuale. Basti una sola citazione. Quando, comprensibilmente, il papa ha recentemente condannato le guerre in corso ha adottato una consunta tesi cara alla sinistra, cioè che, alla fine, esse non fanno altro che arricchire le imprese che producono armamenti. Cosa sicuramente vera per metà, essendo però altrettanto vero che gli armamenti servono anche ad altro, ossia alla difesa e alla sopravvivenza e, dunque, ad assicurare la pre-condizione per qualsivoglia politica successiva. Del resto, i papi hanno sempre intuito questa ovvietà avendo nei secoli costituito veri e propri eserciti dei quali la Guardia svizzera è oggi un pallido ricordo simbolico, anche se, assieme alla gendarmeria vaticana, si serve di vere e proprie armi come fa qualsiasi altro Stato.
Aggiornato il 28 aprile 2025 alle ore 11:28