
Le attuali tensioni geopolitiche internazionali, dovute principalmente agli attacchi delle dittature e dei terrorismi contro i Paesi democratici e civili (Ucraina e Israele) e al rischio di un ritorno al protezionismo esasperato dall’amministrazione statunitense (a guida Donald Trump), hanno reso evidente la necessità per l’Unione europea di rafforzare anche la sicurezza energetica (riducendo la dipendenza da fonti esterne). L’aumento dei costi dell’energia (in particolare del gas) e le sfide legate alla transizione ecologica richiedono un approccio pragmatico fondato sulla neutralità tecnologica, al fine di garantire la stabilità, la sostenibilità e la competitività del sistema economico Ue. A tal proposito, appare difficile affermare che non sia necessario inserire l’energia nucleare in un accurato mix energetico “sostenibile”, soprattutto se si ipotizza di diventare indipendenti dai combustibili fossili. Esiste in ogni Paese, e in ogni rete energetica di distribuzione, un parametro denominato “carico di base” che definisce il livello minimo di energia che deve sempre essere erogabile e disponibile.
Le energie rinnovabili, per loro natura, non possono soddisfare il carico di base senza enormi investimenti in impianti di accumulo dell’energia a batteria e nell’ammodernamento della rete. Ovviamente, il carico di base può essere sostenuto dai combustibili fossili, come accade in Italia e in Germania ma, dal momento che ci si avvia (come da normative Ue) verso la rinuncia nei confronti di questi ultimi, non rimane che l’opzione nucleare che, integrata con le fonti rinnovabili, consente senz’altro di tenere in equilibrio il sistema elettrico, rispondendo adeguatamente al fabbisogno energetico delle imprese e delle famiglie. Purtroppo, l’opinione pubblica italiana rimane divisa sui vantaggi e sulle criticità della fonte nucleare. C’è chi ne sostiene l’antieconomicità, quando in realtà i Paesi che l’hanno abbracciata dispongono di bollette di energia elettrica molto più convenienti (la Francia in primis). O chi pensa che il territorio italiano sia altamente sismico e soggetto a maremoti, ma anche questo non è esatto.
Esistono diverse zone non sismiche in cui si possono realizzare reattori nucleari in sicurezza, e ci sono mari chiusi, come l’Adriatico, in cui le onde anomale sono improbabili. Quindi, il rischio sismico italiano, per quanto concerne il nucleare, è quasi nullo. Poi c’è chi confonde tossicità con radioattività, pensando che le scorie siano diverse dai rifiuti. È bene ricordare come il nucleare non solo garantisca energia elettrica (programmabile) per l’industria, per le abitazioni, per i trasporti, bensì sia impiegabile anche in altri campi: nella diagnosi e cura delle grandi malattie, nell’agricoltura e nelle diverse attività di ricerca tra produzione di idrogeno combustibile, produzione di batterie, ricerca biologica, desalinizzazione dell’acqua di mare, teleriscaldamento e propulsione navale e aerospaziale. Tanti benefici per l’umanità, con una conseguente produzione di rifiuti radioattivi che va gestita al meglio, come accade per gli altri tipi di rifiuti. Una gestione che dovrà passare attraverso la realizzazione di un deposito nazionale dei rifiuti radioattivi (come ci obbliga a fare l’Unione europea e dove non sono mancate le procedure di infrazione) in grado di ospitare non solo i rifiuti radioattivi di alta attività (attualmente sono collocati in Gran Bretagna) derivanti dalla dismissione delle quattro centrali nucleari italiane, operative dal 1963 al 1990, ma anche quelli attualmente prodotti nel campo della ricerca, della medicina e dell’industria. Purtroppo, anche su questo tema, i comitati locali di cittadini e i comuni interessati dalle 51 aree idonee (definite dalla Società Gestione impianti nucleari – Sogin) per la realizzazione di questa infrastruttura sicura e necessaria per il nostro Paese, si sono opposti, con lunghe manifestazioni di protesta.
Recentemente comunque, il Governo Meloni (dopo il tentativo fallito dal Governo Berlusconi a causa dell’incidente di Fukushima nel 2011 e del conseguente esito referendario) ha sposato il ritorno al nucleare, approvando un disegno di legge delega, con l’obiettivo di intervenire in forma organica sulla materia della produzione di energia da fonte nucleare sostenibile e da fusione. Un passo decisamente importante per il futuro energetico dell’Italia, ma non basta. Per vincere questa sfida, sarà fondamentale scardinare l’ideologia dello pseudo ambientalismo e orientare la popolazione e le scuole verso un’informazione imparziale e trasparente, con dati scientifici e casi concreti, al fine di promuovere un’accettabilità sociale delle infrastrutture essenziali per lo sviluppo economico e sociale del territorio, compresa la realizzazione e l’installazione di tecnologie pulite, sicure, poco costose, abbondanti e di nuova generazione, come il nucleare.
(*) Presidente di Ripensiamo Roma
Aggiornato il 06 marzo 2025 alle ore 10:31