L’Europa e la sua decostruzione

Lo specchio infranto della sua Storia e gli assassini ideologici

I risultati delle recenti consultazioni elettorali tese al rinnovo del Parlamento europeo hanno visto sì la consistente affermazione di correnti che si rifanno al pensiero politico della destra così come espressa nei vari Stati dell’Unione, ancorché nella sua variegata composizione anche ideologica; purtuttavia un ribaltamento liberal-nazional-conservatore non è stato sufficiente a scardinare l’ordine precostituito volto al potenziamento di una specie di Superstato – o meglio di una surrettizia Supernazione così come avevo appunto delineato nello scritto Europa supernazione o Europa delle nazioni? di due anni addietro – sostanziatosi soprattutto nella rielezione di Ursula Von der Leyen alla guida della Commissione europea per il prossimo quinquennio, un assetto basato sostanzialmente su un velleitario programma interventista, in un crescendo di sottomissione ai fabbisogni fiscali dell’autocrazia europea, il che è tipico di una economia dirigista smodatamente socialisteggiante. Tutto questo è atto ad introdurre pesantemente effetti distorsivi sui meccanismi di mercato – dall’agricoltura all’industria, dal digitale al lavoro, dalla sicurezza al Green Deal europeo e via dicendo – ciò che ben potrebbe definirsi, così come del resto è stato fatto, “il comunismo del ventunesimo secolo”; il tutto in accompagnamento ad una ormai consolidata, torbida deriva terzo/quarto-mondista, ciò che simboleggia la pietra tombale del pensiero identitario europeo.

Questo fosco incipit abbisogna però, soprattutto su quest’ultimo versante, di ben più esaustive, raffinate e coinvolgenti analisi che valgano a delineare più compiutamente il tragico, prevedibile percorso di una non lontana dissoluzione del continente europeo, un caos identitario che ha i suoi truci padroni, i suoi assassini ideologici, cerberi assetati di odio e di vendetta verso se stessi, verso la nazione, anzi verso l’idea stessa di nazione, intesa come coscienza comune di costituire una formazione storica collettiva, nella consapevolezza di nutrirsi di un passato di tragica grandezza. Con ciò essi hanno per sempre rinunciato, non inconsciamente, a coniugare la coscienza cristiana, culturale e politica dell’Europa, cioè il suo spirito identitario come spazio di libertà e di razionalità riveniente da connotati storico-politici di elevatissimo profilo, con la riscoperta dei valori nazionali.

Ma questa spirale ideologica auto-repellente e suicidaria, che sta minando le stesse fondamenta della civiltà europea con l’intento di scardinarla del tutto per mezzo della rimozione di ciò che ha rappresentato lo Stato nazionale spezzando con ciò la sua catena base, non è affatto acausale e, a ben vedere, viene da lontano, dalla stessa irrazionalità del pensiero post-sessantottino, così come ampiamente delineato in un ultimo lavoro sul sinistrismo rivoluzionario per il versante italiano. Questo affiancava – e alla fine la sostituiva avendo imboccato la strada perdente del terrorismo – alla dottrina della lotta rivoluzionaria anticapitalistica, antioccidentalista e antimperialista, qualcosa di altrettanto virulento e destabilizzante come processo di definitiva de-occidentalizzazione, un monstrum ideologico ora tornato più che mai in auge ad opera dell’imperante repressiva dittatura del pensiero unico imperante in un’Europa, ma non meno che in un Occidente nel suo complesso, annaspante in una crisi epocale di valori e di leadership che ne aggrava i fattori di declino.

Proprio l’irrazionalismo del pensiero sessantottino incominciava a trovare nella teoria filosofica del decostruzionismo, partorito da alcuni filosofi francesi – Jacques Derrida, Michel Foucault, Gilles Deleuze, Jacques Lacan e altri minori – in quegli anni, la sua base teoretica, un lemma completamente nuovo anche nell’ambito del riformismo filosofico allora in atto, inteso come un disassemblaggio di parole in una frase o delle parti componenti una macchina, ciò che si avvicinava parecchio alla Destruktion heideggeriana: insomma, un incolmabile iato all’interno di una struttura che non si limitava più a effettuare un mero cambiamento nel modello strutturante e che in fondo finiva forse per rendere inconciliabili anche progetti di riforma pur a seguito di azioni sovversive. Una forza rivoluzionaria, dunque, a quell’epoca assolutamente estranea a tutti i modelli politici in atto, che, assumendo la fisionomia di un sostanziale rifiuto di ogni politica progressista, puntava a una vera e propria destabilizzazione dell’Essere, una disperata e apocalittica rimessa in discussione dello stesso senso dell’Essere.

Si trattava quindi di un folgorante cortocircuito che, scuotendo dalle fondamenta l’intero pensiero metafisico così come costruito e consolidatosi attraverso i secoli e travolgendo tutto il mondo delle idee, che pertanto finiva per perdere la sua validità e la sua verità, trascinava nella polvere tutte le certezze identitarie della civiltà occidentale, su cui calava dunque una vindice scure. Insomma, una insanabile frattura, una faglia apocalittica proprio nell’ambito della relazione con il sé, operata da inediti “sicari di Satana” in nome di una ideologia volta a superare l’uomo “classico”, in politica il liberal-conservatore che ha forgiato l’Occidente e la stessa l’Europa, ispirata alla affermazione dello Stato nazionale, lo Stato moderno per eccellenza fondato sul principio della nazionalità e sovrano nei propri confini, liberale e laico ancorché fuso con la tradizione ebraico-cristiana, cioè la teologia trinaria e cristica: quello Stato che nasce appunto con la fine delle guerre di religione e la pace di Westfalia del 1648, in seguito affinatosi con la Rivoluzione atlantica, con la forza dirompente del liberalismo ottocentesco e, dal Novecento, con la forma di Stato di democrazia classica occidentale, evolutasi poi, dal secondo dopoguerra, nella così detta Democrazia sociale. Un’Europa quindi che, coniugando l’amore per la libertà con la scoperta dei valori nazionali, sarebbe via via diventata protagonista di quella rivoluzione delle nazionalità in tutto il continente.

Era proprio questo il sessantottino o il post-sessantottino – riprodottosi ora metastaticamente – a cui Derrida aveva somministrato una ulteriore robusta base ideologica, l’uomo del domani, il quale, anziché operare tra devastazione morale e rinascita etica con impresso lo stigma di una missione, scardinato invece il rapporto con il sé e interiorizzato il convincimento che la filosofia ha costruito il nulla, si muoveva in una realtà ideale totalmente decostruita, vale a dire solo quella che si mantiene come base reale, la “traccia” denudata, la quale è sempre differita e che si perde nel tempo: un “uomo nuovo”, dunque, non più alimentato dalla tradizione umanistica occidentale, ma forgiato su anti-umanesimo sfociante in un chimerico umanitarismo d’accatto che si nutre, trovando in ciò la sua unica ragion d’essere, solo di diritti umani, oggi assurti a un nuovo totalitarismo. Una indeclinabile soteriologia, un nuovo allucinato teorema diagnostico-terapeutico che manda “al patibolo” chi non intende rassegnarsi al definitivo disancoramento dal principio liberal-conservatore che si concreta nella libertà dell’individuo. Una sorta di inedito “biopotere”, dunque, forgiato dai suoi lugubri luogotenenti, fondato su “processi biologici” collettivi, che raggiunge il suo parossismo in un’avvolgente biopolitica che si traduce in un irrevocabile giudizio di amoralità e che, in nome di un nuovo e assolutistico totem, copre tutto con un manto di menzogne.

Abbiamo, sì, combattuto il totalitarismo, ma solo per ritrovarcelo ora in casa sotto mentite e perverse spoglie! Acclarata pertanto la stretta interconnessione tra le teorie filosofiche dei decostruzionisti e il caposaldo culturale che presiede all’odierna politica europeistica, intesa dai suoi cinici e saccenti “malfattori ideologici” come espressione della post-modernità, va da sé che oggi l’Unione europea si presenta come lo strumento principe di demolizione della plurisecolare cultura europea e dei suoi valori, così come, a livello globale, le Nazioni Unite, che sono divenute un’organizzazione quasi inutile e incapace di reggere l’ordine mondiale, nonché un “covo di serpenti” terzomondisti. Insomma, qui emerge in tutta la sua tragica effettività e centralità il fattore identitario europeo, che il Sessantotto, adeguatamente sorretto dalla filosofia della decostruzione nonché dai cardini del pensiero leninista-marxista con cui questa finiva per integrarsi, ha travolto, per mezzo di un efferato grimaldello ideologico, demolendoli tutti, i valori fondanti della civiltà europea, intesi non solo in senso strettamente materiale ma anche e soprattutto di carattere morale, psicologico e culturale, ciò che costituiva la struttura portante, l’armamentario plurisecolare dell’intera civiltà dell’Europa, che ora rischia di diventare solo un monumentale cippo funerario in odore di muffa tra farisei eccitati.

Eppure doveva e deve esserci una ratio alla base di siffatto processo dissolutorio, un quid che, agganciando direttamente la decostruzione, ancorché fittiziamente a guisa di “polo negoziale”, ne diventi, sul piano pratico, l’elemento causale efficiente e necessario – attesa la sua indefettibilità per ogni fatto non solo della vita fisica ma anche di quella morale e politica – inteso non già come mero motivo occasionale, bensì come tipico scopo immanente, cioè la ragione intima dell’umano agire: nel caso specifico in direzione dello start al processo di decomposizione strutturale endogeno di tale civiltà, del suo spirito come cardine filosofico e religioso cristiano che da secoli aveva animato e sorretto la centralità del continente europeo nella edificazione dell’intero Occidente.

E qui subentra come fattore causale la consapevolezza della sua gravissima colpa, il senso di una indelebile vergogna per tutte le ingiustizie che la cultura occidentale, con i suoi frutti avvelenati – capitalismo, colonialismo, imperialismo – aveva propagato nel mondo. È qui che avviene la fusione tra la filosofia della decostruzione e l’impianto strutturale e sovrastrutturale marxiano, il cui frutto venefico deve penetrare in profondità nelle coscienze, divenendo il leitmotiv del Politically correct. Cosicché per l’uomo europeo, per l’intero Occidente, diventa assolutamente imprescindibile espiare peccati inauditi: deve farsi perdonare la vittoria di Carlo Martello a Poitiers, le Crociate, la vittoria di Lepanto nel 1571, la definitiva sconfitta degli Ottomani, nel luglio del 1683, sotto le mura di Vienna da parte di una coalizione di Stati cristiani, quegli stessi sorti con la pace di Westfalia, e da ultimo, il placet alla nascita dello Stato di Israele nel cuore del Medioriente. Ma questo perdono, che non può essere un’assoluzione tout court atta a una purificazione che abbia solo una valenza assiologica, deve passare necessariamente per qualcosa che abbia a che fare con la propria cancellazione identitaria, con la completa negazione del sé, sostituito da un sé del tutto nuovo che diventa, per una sorta di positiva e folgorante pseudomorfosi, “l’altro”, un “sé-l’altro” destinato a rinvigorirsi in un “campo” ora vergine e totalmente destrutturato, liberato dalle brutture precedenti.

Ma se il tutto si risolvesse solo su un piano meramente filosofico, vale a dire quello del decostruzionismo derridiano, sarebbe ben poca cosa e lascerebbe il “pianto” dell’uomo occidentale a prosciugarsi in una inane realtà, che, pur decostruita e ripulita, non muterebbe la sua effettività esistenziale: ciò rappresenterebbe comunque un pericolo costante dato che la constatazione della propria dissoluzione etica e culturale potrebbe in ogni momento tradursi in una forte ripresa di coscienza del proprio sé e in una suprema volontà di raffermazione dei suoi valori identitari. In conseguenza, occorre un “boia” materiale che “decapiti” preventivamente e definitivamente ogni possibile rigurgito del “sé” – non più “l’altro” – come orgogliosa riconferma della propria identità, quindi un decostruttore in carne e ossa: questi è oggi l’immigrato mussulmano, l’esecutore materiale del “delitto” – al quale fornisce le armi ideologiche una noumenica sinistra nel suo complesso, con i suoi scarafaggi, ancora racchiusa in una macabra identità irrisolta – il vero protagonista della sottomissione. Una ripugnante sudditanza questa a cui la civiltà europea soggiace dopo la sua ripulitura, in attesa di essere una volta per tutte sradicata al fine di emendarsi dai suoi passati crimini. Cosicché l’accoglienza si erge a imperativo assolutoil Verbo – e a strumento cardine della sua sottomissione e della sua espiazione, lo “spazzino” della sua torbida coscienza. Ed ecco dunque irrompere sulla scena del gran teatro d’Europa un nuovo sinistro “personaggio”, metafisico e concreto allo stesso tempo, il sostituzionismo, una rivoluzionaria teologia della sostituzione dopo quella cristica, come ineluttabile processo di avvicendamento di una civiltà a un’altra, che ora si presenta con tutti i suoi spettri dissolutori in un’Europa asfittica che, giunta alla sua ripugnante decomposizione, non inconsciamente sta rinunciando alla sua stessa esistenza.

Certo, è vero che anche la civiltà della Roma antica dovette soggiacere, nel V secolo, al suo epilogo poiché sostituita da quella di popoli invasori; ma la differenza sostanziale con quella in atto risiede nel fatto che le invasioni barbariche, a partire dalla fine del IV secolo, non portarono alla scomparsa dell’Impero romano d’Occidente, in quanto proprio la “cristianizzazione” e la “romanizzazione”, vale a dire la completa integrazione dell’elemento barbarico nel tessuto culturale romano, ne prolungarono l’esistenza, sfociando poi nell’Europa carolingia: nella notte di Natale dell’Ottocento, infatti, Carlo Magno veniva incoronato imperatore di un’Europa cristiana, il Sacro Romano Impero, che delineava un’immagine non certo dissolutoria ma poderosa e coerente, tale da imporsi per secoli come valore identitario nella coscienza collettiva di noi europei, valore che né il Medioevol’Umanesimol’Illuminismo e neppure il Romanticismo rivoluzionario liberale, con cui si affermava l’idea di nazione, minimamente scalfivano.

Ed è appunto a questa indiscussa identità di altissimo valore umano e cristiano, che fa riferimento il “progetto europeo” ideato nel 1950 da Jean Monnet e accolto dai Padri fondatori – Robert Schuman, Alcide De Gasperi, Konrad Adenauer – un’idea “rivoluzionaria” quanto il pensiero di Niccolò Copernico e di Albert Einstein. Tale monumentale struttura ideologica, che si presenta ora come un continente sfibrato, superficiale e impotente e che si vergogna persino delle proprie radici cristiane, è ora chiamata alla funzione di becchino di se stessa! Nell’Europa attuale invece, il così detto multiculturalismo, come già operante, rappresenta soltanto una stramba mescolanza, un “affollamento” culturale, produttivo non di processi di integrazione e di assimilazione, bensì di un sentimento di “odio di sé”, pronubo della propria de-identificazione e della fine di ogni libertà pratica a favore di più vigorosi e insistenti principi culturali.

Né varrebbe opporsi al “nuovo” che inesorabilmente avanza, in quanto ciò verrebbe bollato sic et simpliciter come razzismo tout court: insomma, sarebbe questa solo una battaglia di retroguardia, anti-progressista, antiliberale, retrograda, oscurantista e in modo intrinseco sadicamente razzista. Ma un contributo non trascurabile in siffatta attività di demolizione ad opera della governance dell’Unione europea, ma non meno che di quella delle Nazioni Unite, viene dalla Chiesa Cattolica bergogliana, sostanzialmente di estrazione latino-americana, data la formazione di Papa Bergoglio – così come si è inteso ampiamente evidenziare nello scritto Teologia della liberazione e mitologia resistenziale dello scorso anno – nel ramo ortodosso della Teologia della liberazione, con la sua anima d’impronta peronista pur avendo egli cercato di depurarla del “riduzionismo socialista”, cooperando in tal modo alla svalutazione dei valori europei, a cui vanno contrapposti i pseudo-valori della de-identificazione. Insomma, una conturbante affinità con la deriva decompositiva delle strutture portanti della civiltà europea e l’innesto di un processo esterno di sostituzione di essa avvalendosi di un decostruttore materiale, ben identificato, ben motivato e sommamente incoraggiato nell’attuazione della sua missione, un “boia” della Storia e nella Storia.

Di certo, da Papa Ratzinger a Papa Bergoglio si è verificato nella Chiesa Cattolica un incolmabile iato, una svolta storica che non potrà non produrre anche e soprattutto una de-identificazione della stessa Chiesa e con essa di tutta la tradizione culturale dell’Occidente, di stampo liberale e cristiana. Ratzinger, affermando che “il declino di una coscienza morale basata su valori inviolabili è ancora il nostro problema e può condurre all’autodistruzione della coscienza europea”, ha lottato per recuperare all’Europa – giunta alle soglie del crollo per l’abbandono del senso religioso per abbracciare in toto la profanità – la sua unità spirituale, culturale e politica. Cosicché Egli, con i suoi richiami alla coscienza europea e al dramma del relativismo morale che caratterizza il nostro tempo, ci appare oggi davvero come l’unico, ma ahimè anche l’ultimo, grande statista europeo.

Ciò a differenza di Bergoglio che, con la sua Teologia del popolo, derivata proprio da quella della liberazione, ha finito per rivalutarne uomini e temi, che avevano tutti in comune tesi di fondo quali il canone del mistero della povertà, il cui principio ermeneutico era costituito dall’analisi socio-economica di stampo marxista, come mezzo per produrre la liberazione dell’oppresso. Com’è noto, peraltro, proprio siffatti principi, amplificati soprattutto dalla morte del prete colombiano Camilo Torres Restrepo, caduto in un’azione di guerriglia, avrebbero costituito la base ideologica della sinistra extraparlamentare italiana e della contestazione studentesca del 1968, che finirà per comporre un passo fondamentale per il movimento generale della lotta rivoluzionaria contro il capitalismo e che agli inizi degli anni Settanta sfocerà poi nel terrorismo brigatista. Proprio Papa Bergoglio, dunque, con i suoi richiami agli ideali pauperistici come liberazione dell’umanità dalle proprie brutture, con il loro sostanziale adattamento ai principi marxisti, sta chiudendo un loop tragico e grottesco di quasi un sessantennio di un’infranta Storia europea.

In questo si avvale anche di un ulteriore elemento dissacratore, “massacratore”, assolutamente funzionale oggidì alla riesumata Teologia della liberazione, rappresentandone anzi l’elemento costitutivo per eccellenza, cioè l’accoglienza, non già come mero atto di carità, bensì incaricata della suprema e vindice missione di sovvertirne l’impianto culturale dell’Europa, quindi la sua stessa identità e tradizione: tutto ciò in una macabra sintonia con le istituzioni dell’Unione. Il migrante islamico, portatore di una religione e di cultura assorbenti, è dunque l’Eletto, il predestinato a un immane compito di definitivo sradicamento di vecchie radici religiose, storiche e culturali, in una parola identitarie, e tutto ciò con la più piena accondiscendenza del decadente “uomo europeo”, votato così a un nuovo, “radioso”, destino. Ma un destino di morte verso cui s’inoltra, non inconsciamente e incoscientemente, a passo di danza!

È proprio la consapevolezza di essere depositari di un’identità poderosa costruita nei secoli che dovrebbe indurci a una reazione forte, tesa a restaurare appieno il modello liberal-conservatore, che non è una contraddizione in termini, ma costituisce un’alleanza strategica tra il liberalismo e il conservatorismo come sintesi suprema tra i valori della tradizione e quelli della liberaldemocrazia modellata sulla base di nuove e ineludibili esigenze sociali e di nuove prospettive ideali. Un sano reazionarismo dunque la cui base è, deve essere, il popolo, che riscopra e rivaluti la propria eredità filosofica e religiosa, capace di avversare la deriva terzomondista della Chiesa cattolica e di opporsi con efficacia, con ogni mezzo possibile, a una repressiva dittatura del pensiero unico diffuso da onniscienti esseri, con l’obiettivo di ricostruire in toto il pensiero identitario europeo. Non sarebbe questa una posa snobistica a fronte del pensiero dominante propagato dai paladini di questa Europa, bensì la giusta risposta da parte di un continente altrimenti destinato a soccombere.

Aggiornato il 22 novembre 2024 alle ore 13:38