L’8 ‒ numero del nostro taccuino odierno ‒ è un numero fortunato, e gli italiani spesso si affidano alla dea bendata per il governo della loro vita. La natura non sempre l’accompagna, e così un popolo poco avvezzo a pensare razionalmente, è capace solo di sperare, quando la mala sorte lo colpisce, che lo Stato si comporti come dispenser di panacea per ogni male, mentre si ritrova a piangere miseria e disgrazia, sempre più frequentemente per ogni evento atmosferico, climatico o naturalistico avverso che si manifesta.
E così, di nuovo abbiamo assistito alla disperazione degli abitanti dell’Emilia-Romagna che dinanzi alle piogge incessanti delle scorse settimane poco hanno potuto fare per salvare se stessi e le proprie case, le proprie aziende a poco più di un anno di una alluvione che portò anche all’annullamento di un Gp di F1, cosa che non accadeva da tempo quasi immemore.
Dopo questa ennesima sconfitta dell’uomo contro le calamità, viene fuori l’idea di introdurre l’obbligo di stipulare una polizza assicurativa contro i catastrofali per tutte le case, dopo che è stata già introdotta quella obbligatoria per le aziende.
L’idea che ci si assicuri contro le avversità della vita, dato che il futuro non si può prevedere ma si può gestire, dovrebbe essere diffusa nei cittadini, anziché aspettare la divina provvidenza, o lo Stato, a mettere una pezza a colore sempre a tutto.
Ma lo Stato purtroppo non fa bene il suo mestiere e quindi sa solo imporre obblighi (o divieti) anziché promuovere una cultura nuova accompagnata da incentivi verso quei comportamenti virtuosi che migliorerebbero significativamente la vita dei taxpayers e non solo.
Quindi anziché invocare frettolosamente la via dell’obbligo delle polizze contro i catastrofali per tutti, che vede comunque impreparato il settore assicurativo, anziché imporre l’obbligo alle aziende ‒ a cui così di fatto si impone un’altra tassa e si introduce un sistema di disparità tra persone fisiche e giuridiche ‒ si potrebbe cogliere l’occasione per intraprendere una via nuova in cui lo Stato fa meno il dispensatore di mance, ristori e contributi (che fatica a gestire e liquidare anche perché ci sono sempre i furbi ed i furbetti) e promuove una cultura della gestione del futuro di persone ed aziende che possa aiutare a risolvere quelle avversità che possono capitare. Siano i catastrofali per gli immobili, siano gli eventi gravi della vita come la morte, la malattia, l’infortunio, la perdita di autonomia o autosufficienza per le persone fisiche. Grandi eventi che possono sconvolgere la vita delle persone ma che una adeguata copertura assicurativa può mitigare nelle conseguenze.
Il ruolo dello Stato allora potrebbe diventare quello di garante ultimo del sistema (non è pensabile assegnare solo al mercato il rischio assicurativo, i nostri cugini francesi ce lo potrebbero spiegare bene) a fronte però di una struttura di incentivazione e di defiscalizzazione dei relativi oneri necessari per dotarsi di una copertura assicurativa adeguata.
Ai meno fortunati, lo Stato potrebbe garantire quanto con il loro basso reddito non possono ottenere.
È un qualcosa di nuovo, quello che si propone al governo, è compito di lungo periodo ma essendo francamente stufi di assistere ogni volta alla bagarre politica dinanzi alle disgrazie e le difficoltà che eventi, come l’alluvione dell’Emilia-Romagna ci ha proposto, è lecito e legittimo auspicare un drastico cambio di passo, una modalità nuova.
C’è la possibilità di fare i primi passi verso qualcosa di moderno ed efficace. Gli obblighi sono senz’altro una via facile da percorrere, ma si può fare meglio e di più. Ce lo auguriamo, e auspichiamo che si cambi passo in questo Paese nella gestione delle avversità e delle emergenze, che accadono, sono sempre accadute e accadranno ancora. Non si possono prevedere ma ci si può organizzare per gestirle al meglio quando si manifestano.
(*) Leggi il Taccuino liberale #1, #2, #3, #4, #5, #6, #7
Aggiornato il 27 settembre 2024 alle ore 13:05