Le tre fasi politiche della destra italiana

Il saggio di Salvatore Vassallo e Rinaldo Vignati, Fratelli di Giorgia. Il partito della destra nazional-conservatrice (Il Mulino), a partire dagli albori della Repubblica, analizza l’evoluzione della destra: dal Movimento sociale italiano, passando per Alleanza nazionale, arrivando all’oggi, ossia a Fratelli d’Italia. Il tutto realizzato sia attraverso l’analisi di programmi, flussi elettorali, dichiarazioni dei leader che mediante informazioni raccolte da vari esponenti. Gli autori distinguono tre fasi, caratterizzate da diverse classi dirigenti. La prima, quella del Msi, dove la classe dirigente del partito era formata da ex appartenenti al Partito nazionale fascista e, in particolare da reduci della Repubblica sociale italiana: cioè un insieme fortemente connotato, distinto dai partiti ciellenisti, ostracizzato e, anche per questo consolidato nella continuità con i valori del fascismo, sia del regime che della fase terminale. Nella seconda, di An, la classe dirigente è nella totalità o quasi costituita da persone che, per motivi anagrafici – essendo quasi tutti nati dopo il 1945 – col fascismo non avevano avuto rapporti come Gianfranco Fini, Maurizio Gasparri, Ignazio La Russa, Gianni Alemanno; altri che, al massimo, erano stati balilla (come Altero Matteoli e Pinuccio Tatarella).

Quanto a Fdi, “i fratelli di Giorgia erano diventati militanti del Msi all’inizio degli anni Novanta, durante la crisi della Prima Repubblica, e avevano fatto pratica della politica come professione dopo la svolta di Fiuggi in epoca bipolare. Sono loro (la terza generazione della Fiamma) a costituire l’ossatura organizzativa di Fdi”. Pur nella continuità con la propria storia “oggi nel codice di condotta di Fdi sono esclusi i saluti romani, i pellegrinaggi collettivi a Predappio o l’uso del termine camerata”. Soprattutto, non c’è in vista alcun pericolo di deriva autoritaria e gli esami e le accuse di fascismo a Meloni sono del tutto infondati. “L’attribuzione a Fdi di quella categoria (o di suoi derivati) si fonda sull’uso di definizioni metastoriche, soggettive e concettualmente dilatate del fascismo”.

Per cui, scrivono gli autori: “A chi si domanda quanto fascismo ci sia oggi in Fdi?, suggeriamo di distinguere tra fascisti, neofascisti, postfascisti e afascisti. La prima generazione di fondatori del Msi era formata da fascisti (da persone che avevano avuto un ruolo, piccolo o grande, nel regime, e soprattutto nella sua ultima incarnazione, la Rsi) e da neofascisti”. Con la svolta di An si “compie il passaggio dal neofascismo (via via ridotto, a partire dagli anni Ottanta, a puro nostalgismo testimoniale) al postfascismo: afferma cioè la piena integrazione nel sistema democratico”. Con FdI “la generazione di Giorgia Meloni è piuttosto definibile come formata da democratici afascisti: il processo di integrazione democratico è proseguito e il fascismo ha smesso completamente di esercitare una funzione di ispirazione. È stato ormai definitivamente relegato a momento storico di un passato irripetibile, che ha poco o niente da offrire per orientare l’azione politica, che così viene percepito anche dall’elettorato a cui oggi Fdi si rivolge”.

Quanto alla democrazia interna, Fdi lascia (molto) a desiderare: “In pratica l’intera intelaiatura organizzativa è posta nelle mani del presidente e dell’Esecutivo nazionale, dei presidenti dei coordinamenti regionali e provinciali”. Per cui “il sostanziale dissolvimento delle strutture territoriali e degli organi assembleari del partito si accompagna a una direzione fortemente centralizzata nelle mani del leader”.

Per l’appartenenza ideologica, Fdi è stata classificata come “destra estrema”, come populista, ma appare meglio riconducibile ad un partito nazionale conservatore. “Giorgia Meloni e i suoi Fratelli, hanno appreso che il patriottismo nazionalista e il conservatorismo, già di fatto elementi chiave del loro bagaglio ideologico, potevano diventare un appropriato-utile marchio”. L’etichetta di conservatore consente di dare un nome alla destra all’interno del campo più largo del centrodestra italiano, conferendole una identità distintiva rispetto alle altre componenti”. Oltretutto il meglio “spendibile” in Europa.

Il saggio è accurato e non partigiano: due caratteri per consigliarne la lettura. Quello che manca, anche se in un paragrafo gli autori valutano l’incidenza della fortuna e della virtù (le “categorie” machiavelliche) nella valutazione del rapido e travolgente successo di Fdi è quanto vi abbia concorso la decadenza sia della società che del sistema politico italiano. Se l’Italia è stata il primo paese dell’Europa occidentale ad avere un Governo totalmente anti-establishment (il Conte 1), le levatrici di tale successo, proseguito in quello di Fdi sono la peggiore crescita economica dell’Europa, ossia quella italiana e l’incapacità della classe dirigente a garantirla (così come le altre crisi). Un buon favore della fortuna al Governo Meloni.

(*) Fratelli di Giorgia. Il partito della destra nazional-conservatrice di Salvatore Vassallo e Rinaldo Vignati, Il Mulino, Bologna 2023, 296 pagine, 18 euro

Aggiornato il 11 giugno 2024 alle ore 12:24