L’approccio punitivo e moralista di una certa scuola di pensiero, che fino a oggi ha determinato certe politiche, è presente anche in alcuni recenti provvedimenti. Per le nostre normative non è possibile chiudere un porticato. Il cittadino è sempre gambizzato e succube di uno Stato che spesso ha una doppia morale. Se siamo così preoccupati del risparmio energetico, un portico – con un sistema di finestre con doppio spessore – potrebbe giovare molto alla causa. E, soprattutto, a dare a una famiglia la possibilità di aumentare gli spazi abitabili. La nostra Costituzione protegge il paesaggio, ma i nostri “abbientalisti” non si preoccupano del consumo di suolo del nostro territorio dovuto alle opere di urbanizzazione, che sono le più impattanti, come strade o fogne, escluse ovviamente dal calcolo. Per darsi un tono, hanno istituito numerose Aree protette, vere e proprie cattedrali nel deserto, per lo più collocate in zone fortemente antropizzate. Ma l’immagine è quella che conta. Cattedrali dove la politica con la “p” minuscola colloca i suoi trombati, i cui costi sono per il 95 per cento investiti in spese di personale e di burocrazia.
Un esempio del grande bluff. Pensate alla riserva del Wwf, in pieno centro storico a Roma, all’altezza del Lungotevere delle Navi, presso Ponte del Risorgimento, considerando che la specie più comune lì presente è la pantegana. Dunque, se un’area protetta può essere costituita anche nella zona più inquinata e antropizzata della Capitale, perché per altre aree hanno approcci e misure diverse? Non è questa la prova che natura, uomo e ambiente possono vivere in un rapporto osmotico? La vera sfida, diversamente, è quella di realizzare politiche ambientali a impatto zero. E non di mero divieto. Se il fine comune è l’ambiente, allora è fondamentale incentivare, ad esempio, case a basso impatto ambientale. E come è stato possibile avallare divieti come – ad esempio – per i proprietari di immobili, presenti ancor prima delle istituzioni delle aree protette, che non possono non avere, gli stessi diritti di tutti gli altri cittadini. Ad esempio, il Piano casa è stato escluso all’interno delle aree protette, con grave pregiudizio per chi vi risiede, senza alcuna indennità. Le leggi non possono avere efficacia retroattiva e punire chi è proprietario di quell’immobile, ancor prima dell’istituzione dell’Ente parco.
Ma gli “abbientalisti”, mentre hanno trovato il modo di punire i più deboli, al contempo hanno avvantaggiato i costruttori, “trasferendo” le cubature delle aree protette e delle “aree verdi” su altri terreni, per accontentare gli amici! Quei pochi costruttori, meglio informati, che con pochi spicci riescono ad acquistarli, ottengono – da tali procedure – grossi vantaggi economici. Quindi, i piccoli e singoli proprietari hanno subito un danno economico a vantaggio di costruttori che, ottenuto da una politica compiacente il trasferimento delle cubature da aree vincolate e tutelate ad aree gestite dagli amici, hanno potuto ottenere lucrosi vantaggi. Il fallimento delle loro politiche è evidente. Mentre le aree protette sono inviolabili, nonostante la Costituzione tuteli l’intero paesaggio e le sue bellezze, sul resto del territorio, senza alcuna programmazione, si è costruito ovunque, con grave danno all’ambiente e al paesaggio. Si guarda alla pagliuzza ma non alla trave. Un esempio è il decreto ministeriale 1444 del 1968, dove un imprenditore agricolo con una superficie di un ettaro (10mila metri quadrati), può costruire 300 metri cubi di fabbricato. Una politica ambientalista con la “A” maiuscola dovrebbe permettere, ad esempio, ai cittadini riuniti in consorzio che acquistano almeno una superficie minima, importanti premi di cubatura. In questo modo, si premierebbe chi edifica in zone circoscritte e si eviterebbero costruzioni disseminate sul territorio, con grave impatto ambientale.
Ma gli edulcorati “abbientalisti” hanno fatto orecchie da mercante e, con il decreto ministeriale 144/68, si è costruito ovunque. Immobili a più piani edificati nel bel mezzo delle campagne, senza alcun criterio architettonico, senza utilizzare materiali naturali bensì cemento: un vero danno al paesaggio, senza ritegno. Moltissime abitazioni, che non erano a servizio delle aziende, sono state realizzate con questo escamotage, con grave pregiudizio. Immobili disseminati ovunque, con grave impatto ambientale. Senza contare l’ulteriore impatto di gran lunga superiore, nel realizzare strade, impianti fognari ed elettrici.
Una certa politica non è mai intervenuta per risolvere le tante maglie del sistema, dove le norme si interpretano a seconda dei bisogni, approvando un testo unico dell’edilizia. La Sovrintendenza, ente che ritengo dovrebbe essere soppresso, ha gravi responsabilità. I criteri delle Sovrintendenze dovrebbero per lo meno essere accessibili, in particolare i nulla osta. Nulla osta che dovrebbero essere suddivisi per tipologie e aree paesaggistiche. Ma un ambientalismo serio e non di facciata dovrebbe promuovere iniziative volte a sostenere “case eco-compatibili” con l’ambiente e il territorio, a impatto zero e a ciclo chiuso. E vietare costruzioni, disseminate indiscriminatamente. Proibire nelle campagne immobili a più piani per mimetizzarli meglio con l’ambiente e il paesaggio. Promuovere la coibentazione dei tetti con i prati, per minimizzare l’impatto visivo, impianti di raccolta delle acque, di trattamento e di depurazione dei reflui. Queste sono le sfide per il futuro: progettazione, programmazione, ricerca per un modello di sviluppo di abitazioni a ciclo chiuso. E non la cultura del divieto che appartiene a chi di ambiente poco comprende. La vera sfida è lo studio di modelli a impatto zero e non sperperare in politiche moraliste, fine a se stesse.
(*) Presidente Movimento Ecologisti, ex segretario nazionale Verdi Verdi
Aggiornato il 13 febbraio 2024 alle ore 09:24