I “complessisti”, i giustificazionisti delle cause perse

Non ho mai riversato molte aspettative sulle giornate a tema, il cui potere taumaturgico, spesse volte, si sostanzia in una capacità omeopatica di affrontare le problematiche per le quali sono indette. Il clamore generato da una singola quotidianità dovrebbe essere spalmato in un arco temporale molto più lungo, tenendo l’attenzione dei singoli elevata in maniera costante e assai importante, ma tant’è. Quella del 25 novembre, si sa, è stata la ricorrenza annuale per sensibilizzare l’opinione comune a osteggiare – in opere, parole e nessuna omissione – la violenza contro le donne. Cosa buona (sacrosanta) e giusta. Ma qui, per usare un linguaggio weberiano, non serve nemmeno giungere all’etica delle responsabilità per notare un malfunzionamento del sistema logico-comportamentale, basta soffermarsi sulle intenzionalità. Le stesse di coloro che, pur sostenendo di scendere in piazza per la difesa del sesso debole, hanno usato tale rivendicazione come espediente per parlare di tutto, con il “tutto” – questo sì – ben inserito all’interno di un quadro ideologico scolpito alla perfezione. Ed ecco che i cosiddetti “complessisti”, cioè i giustificazionisti delle cause perse, d’un tratto provano a dissolvere la complessità ontologica del reale individuando, in maniera apparentemente oggettiva, solo alcune delle molteplici cause che portano a compiere gesti che, comunque la si pensi, sono generati da entità plurime in carne e ossa e non frutto di costrutti sociali.

Da qui l’accusa che va dal capitalismo, all’Occidente e dal patriarcato ai peana contro Libero quotidiano, fino a Israele che compie genocidi a Gaza (adoperando, come si può facilmente vedere, parole totalmente decontestualizzate e ignorando – volutamente o meno? – le gesta ignobili di Hamas nei confronti delle donne ebree). A questo catalogo di banalizzazioni infarcite dal vuoto spinto poi non poteva mancare il sindaco di Terni. Si. Lo so, è sempre rischioso mischiare la farsa con il dramma, ma purtroppo questo passa la cronaca locale. Stefano Bandecchi pare avere un’ansia da prestazione dialogica. Ovvero, non sa stare zitto e quando parla pare avere l’esigenza di spararle grosse. Non so se questo comportamento sia studiato oppure è frutto di una sorta di intercalare che si innesta nel suo turpiloquio usuale. Però è così. Al ché non so nemmeno se sia il caso di ignorarlo – seguendo un po’ l’esempio dell’Anarca di Ernst Jünger – oppure ribattere a tono alle sue invettive rischiando però, in tal modo, di dargli propellente gratuito per la sua visibilità mediatica oltre che per la pessima figura della mia città in giro per l’etere. Certo è che, pur essendo concettualmente contrario al collettivismo, dalle parti della Cascata delle Marmore più di uno dovrebbe almeno scusarsi certamente per aver messo un segno nella parte sbagliata della tessera elettorale. Anche, e soprattutto chi si definisce un/una femminista.

Aggiornato il 27 novembre 2023 alle ore 11:05