Taranto sta a cuore forse solo ai salentini

Tutti abbiamo potuto leggere in questi giorni un comunicato che, pur se ampiamente motivato, continua a preoccuparci. Una nota che ribadisce: “Il Governo italiano ritiene che il percorso di decarbonizzazione del polo siderurgico di Taranto, attraverso l’utilizzo di idrogeno per produrre preridotto con cui alimentare forni elettrici, abbia tempistiche lunghe, incompatibili con quelle – invece piuttosto serrate – del Pnrr, motivo per cui vorrebbe scorporare questa iniziativa dal Piano nazionale di ripresa e resilienza per rifinanziarla successivamente con altre risorse, ad oggi non meglio identificate”. Questo è quanto emerge dalla lettura del dossier – pubblicato sul sito istituzionale della Camera dei deputati – in cui l’Esecutivo ha dettagliato le sue richieste di modifica al Pnrr, che dovranno essere ora approvate dalla Commissione europea. Nella conferenza stampa di pochi giorni fa il ministro delle Politiche europee, Raffaele Fitto, aveva anche annunciato che tra i definanziamenti previsti c’era pure la cancellazione dal Piano di un miliardo di euro destinato all’introduzione dell’idrogeno nell’industria hard to abate (cioè utilizzare l’idrogeno nei settori industriali più inquinanti e abbandonare le risorse non rinnovabili), senza tuttavia specificare meglio di quali risorsa nello specifico si trattasse. In particolare, il capitolo relativo a questo investimento, che contiene in totale 2 miliardi di euro, prevede infatti due diverse voci di spesa: un miliardo di euro è destinato a finanziare progetti di introduzione dell’H2 come combustibile nelle filiere industriali hard to abate (l’iter di assegnazione è già partito lo scorso marzo), mentre l’altro miliardo è destinato alla decarbonizzazione del polo industriale ex-Ilva di Taranto. Ed è proprio questo secondo intervento che il Governo vorrebbe scorporare dal Pnrr. Nel dossier si premette, infatti, che il definanziamento in questione, per 1 miliardo di euro, riguarda la misura Utilizzo dell’idrogeno in settori hard-to-abate M2C2 I.3.2, investimento che, “ai sensi dell’articolo 24 del decreto legge del 23 settembre 2022, numero 144, include risorse per 1 miliardo destinate a Dri Italia Spa, il Soggetto attuatore degli interventi per la realizzazione dell’impianto per la produzione del cosiddetto preridotto-Direct Reduced Iron”.

Quello previsto – è scritto ancora nel documento – è “un parziale definanziamento. Pur confermando l’ambizione della misura e le sue prospettive, in considerazione della complessità del progetto Dri Italia Spa sotto il profilo industriale e sotto il profilo normativo ed amministrativo, si ritiene che lo stesso non sia compatibile con le tempistiche del Piano. Nell’assicurare, comunque, il finanziamento dello stesso a valere su altre fonti di finanziamento nazionale – non specificate – si propone di modificare l’impatto finanziario con la riduzione di 1 miliardo di euro di contributo totale”. Resta quindi immutata la volontà di procedere con l’introduzione dell’idrogeno nel ciclo industriale dell’acciaieria di Taranto, ma a questo punto le tempistiche si dilatano e le risorse per portare avanti il progetto dovranno essere nuovamente reperite. Io comprendo benissimo le motivazioni che hanno portato il Governo a escludere l’intervento dal Pnrr, ma rimango quanto meno perplesso sull’assenza di tempestività con cui l’Esecutivo affronti “l’emergenza Taranto”, un’emergenza che dovrebbe imporre una sequenza di atti più volte da me denunciata e nel mese di luglio anche condivisa dallo stesso ministro Adolfo Urso, che aveva ritenuto urgente un cambiamento metodologico nell’approccio alle emergenze di Taranto, attraverso una serie di atti in grado di annullare una lunga e irresponsabile fase di annunci e di promesse tutte rimaste tali. Ritengo a tal proposito ripetere le dichiarazioni del sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci e del ministro Urso di un mese fa. Melucci aveva spiegato: “Se perdiamo il miliardo di euro del Pnrr destinato alla decarbonizzazione dell’ex Ilva, l’intera fabbrica è destinata a chiudere. Ho già riferito al ministro Urso e al ministro Gilberto Pichetto Fratin che senza le risorse del Pnrr in agosto non rinnoverò l’autorizzazione di impatto ambientale degli impianti di Taranto. Senza una conversione nei tempi più rapidi possibili alla produzione verde non saremo più in grado di tenere aperti gli impianti nei prossimi anni; gli impianti sono ormai obsoleti”. Mentre il ministro Urso aveva sottolineato che avrebbe assunto, con la massima urgenza, decisioni essenziali e tra queste la rivisitazione dell’attuale management.

L’unico dato misurabile che rimane invariato ormai da anni è quello relativo alla mancanza di lavoro per circa 25mila persone. Un dato questo ultimo che forse ormai non può, dopo 7 anni (insisto: sette anni), continuare a rimanere legato alle dichiarazioni, senza dubbio convinte e in buona fede, di un sindaco e di un ministro. È arrivato il momento in cui sia il Governo – sì la presidente Giorgia Meloni – sia il Parlamento assumano con la massima urgenza precise decisioni; decisioni che avevo prospettato già alcuni mesi fa. In particolare, questo Paese istituisce Commissioni parlamentari di inchiesta anche per contenziosi esplosi all’interno di condomini e invece nessuno ha chiesto finora l’istituzione di una Commissione parlamentare per le misurabili e accertate responsabilità sorte su una simile tematica: “Centro siderurgico di Taranto ed il rapporto con ArcelorMittal”. Cioè, nessuno ha chiesto una verifica su quanto accaduto a valle della revisione del contratto firmato dall’allora ministro Carlo Calenda con l’imprenditore indiano, cioè delle modifiche richieste dall’ex ministro Luigi Di Maio e dal Movimento 5 stelle, delle richieste avanzate, sempre dal Movimento 5 stelle, attraverso la ex senatrice Barbara Lezzi sull’annullamento dello scudo penale per gli amministratori del Centro, sulla serie di impegni assunti e mai mantenuti dai governi Conte 1 e Conte 2, sulle modifiche all’asset societario varate dal Governo Draghi. Cioè su tutto ciò che ormai da sette anni rappresenta la lenta agonia del centro siderurgico.

Il Governo, insisto nella sua più ampia collegialità, dia corso subito a questi punti:

– nomina di un commissario e contestuale azzeramento dell’attuale Consiglio di amministrazione;

– risolvere il contratto con ArcelorMittal;

– assegnare con norma almeno 4 miliardi per la rivisitazione funzionale del Centro siderurgico e per il rilancio dell’area vasta tarantina;

– ridare ruolo al porto di Taranto assicurando apposite risorse del Fondo di sviluppo e coesione 2021-2027.

Non credo che l’attuale Governo possa non assumere subito simili decisioni. Non lo credo perché, come sto ripetendo sin dall’insediamento dell’attuale Esecutivo, questa è una legislatura che sarà dominata dalla presidente Giorgia Meloni e, quindi, è impensabile che l’emergenza Taranto, alla fine della attuale legislatura, resti ancora una emergenza irrisolta. Sempre alcuni mesi fa conclusi la mia nota precisando che “l’emergenza Taranto” rappresentava il massimo fallimento del Movimento 5 stelle, dei governi Conte 1, Conte 2 e Draghi. Oggi mi meraviglierebbe molto una ulteriore stasi (sono passati dieci mesi dall’insediamento dell’attuale Governo) da parte dell’Esecutivo di centrodestra. Ricordo che questa emergenza riguarda l’intero Salento, l’intera Puglia, l’intero Paese. Non vorrei che rimanesse un’emergenza della sola città di Taranto. Un simile comportamento sarebbe davvero imperdonabile, e al tempo stesso irresponsabile, da parte dell’attuale Governo.

(*) Tratto dalle Stanze di Ercole

Aggiornato il 09 ottobre 2023 alle ore 11:05