Riformare il trasporto pubblico locale

L’azione della Pubblica amministrazione è stata quanto mai determinante in un periodo storico durante il quale si è reso necessario rispondere a sfide enormi e dal marcato impatto sociale. Le conseguenze della pandemia da Covid-19, da cui è scaturita una crisi non solo sanitaria, ma anche sociale ed economica, così come la necessità di dare pronta attuazione al Pnrr e i risvolti del conflitto in Ucraina, prima tra tutte l’emergenza energetica che ne è conseguita, hanno conferito ai servizi pubblici una rinnovata centralità.

In quest’ottica, la valutazione della qualità e delle performance delle Amministrazioni pubbliche in termini di servizi resi a cittadini e imprese assume un significato ancora più importante rispetto al passato. Ciò sia perché questi eventi di portata globale hanno costituito una sorta di stress test per l’intero apparato pubblico, sia perché si è avuto un rafforzamento del rapporto tra popolazione e Pa sulla scorta del quale è possibile edificare un nuovo modello sistemico dei servizi resi ai cittadini che sia più snello, veloce ed efficiente.

Questo è il testo con cui il presidente del Cnel, il professor Renato Brunetta, ha annunciato l’aperura dei lavori sulla Relazione 2022 al Parlamento e al Governo dei livelli e della qualità dei servizi offerti dalle Amministrazioni pubbliche centrali alle imprese e ai cittadini.

Io vorrei porre la massima attenzione sulla offerta e sulla gestione dei servizi legati al trasporto pubblico sia a livello locale che a quello che, per una deformazione storica, continuiamo a chiamare “pendolarismo”. Prima di continuare, ritengo utile ricordare perché considero storica la definizione di “pendolarismo”, perché è poco coerente con una serie di cambiamenti che, in meno di venti anni, hanno cambiato sostanzialmente le logiche che motivano i collegamenti sistematici tra due distinti ambiti urbani; è quanto meno antitetico definire pendolarismo un servizio che spesso riguarda due realtà interne allo stesso sistema di città.

A tal proposito, poche settimane fa, mi sono dilungato proprio sul concetto ormai anomalo di “città” e, quindi, di riferimento abitativo fisso e di accesso al lavoro in un’altra realtà urbana; proprio su tale tematica ho invocato la offerta ferroviaria ad alta velocità; una offerta che ha rivoluzionato le abitudini abitative e lavorative di molti cittadini: ormai molti lavorano a Napoli ma vivono a Roma, molti lavorano a Milano ma vivono a Bologna, molti lavorano a Bologna ma vivono a Firenze. Poi in questi ultimi tre anni con il Covid ha preso corpo un’altra modalità che ha sconvolto il mondo del lavoro, mi riferisco allo smart working.

Accanto a questi nuovi fattori che hanno modificato strutturalmente il rapporto tra utente e garante della offerta dei servizi di trasporto, è nata una ulteriore innovazione, quella legata alla “digitalizzazione”. In proposito, ricordo un prodotto che forse non abbiamo ancora capito e che tento qui solo di richiamare: esiste il servizio, o meglio l’applicazione “InTaxi”, che troviamo nei nostri telefonini e con cui ormai siamo soliti prenotare un taxi; utilizzando tale prodotto scopriamo che, una volta effettuata una richiesta, sul nostro telefonino compare non solo il numero del taxi, non solo in quanto tempo arriverà ma anche l’itinerario che sta seguendo il taxi per arrivare nel posto in cui siamo in attesa. E allora, se usassimo questo servizio a chiamata non per un singolo utente ma per un numero di utenti maggiore, e se invece del taxi il vettore mobile fosse un bus, allora produrremmo una vera rivoluzione nella offerta e nella gestione della mobilità in ambito urbano ed extraurbano. Possiamo oggi in realtà costruire una griglia sensoriale informatica che ci consente di essere attori diretti nell’utilizzo di un mezzo di trasporto.

Stiamo capendo, forse con enorme ritardo, che sono cambiati tre riferimenti chiave che nel lontano 1981 avevano caratterizzato la legge 151, la “legge quadro per l’ordinamento, la ristrutturazione ed il potenziamento dei trasporti pubblici locali. Istituzione del Fondo nazionale per il ripiano dei disavanzi di esercizio e per gli investimenti nel settore”.

– È cambiata la domanda o meglio sono cambiate, in modo imprevedibile, le abitudini e le esigenze della domanda;

è cambiato il quadro di controllo informatico della offerta e della interazione domanda – offerta;

– l’equilibrio di bilancio delle aziende non può più avvenire attraverso i quattro riferimenti chiave e cioè: il costo economico standardizzato, le tariffe minime, i ricavi del traffico presunti, a percentuale minima di copertura dei costi effettivi del servizio con i ricavi.

Nel tempo ci sono state sicuramente altre norme nazionali e comunitarie che hanno rivisitato solo in parte la Legge 151 ed infine è arrivato il decreto legge numero 50/2017 al cui interno è presente anche la definizione dei livelli adeguati dei servizi di trasporto pubblico locale e regionale automobilistico e ferroviario, che costituiscono anch’essi un parametro per il riparto del Fondo del Trasporto pubblico locale.

Le Regioni, con tale provvedimento, sono state chiamate a operare sulla base dei criteri introdotti con il decreto del ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, di concerto con il ministro dell’Economia e previa intesa in sede di Conferenza unificata, avendo al contempo cura di procedere a una riprogrammazione dei servizi. Ma tutto questo non ha prodotto finora modifiche sostanziali e le norme disponibili non tengono conto dei cambiamenti.

Quindi siamo in presenza:

– da un lato, di una modifica sostanziale dell’intero teatro che caratterizza la domanda e la offerta di ciò che continuiamo a chiamare “trasporto pubblico locale”, una modifica sia nelle abitudini con cui l’utente accede ai servizi, sia nella modalità con cui i servizi stessi vengono erogati e soprattutto nell’arrivo, direi cruento, con cui la digitalizzazione è entrata nell’intero sistema;

– dall’altro, di una misurabile inutilità della miriade di normative che, a livello nazionale e locale, cadenzavano e cadenzano ancora gli standard offerti, le logiche e i vincoli con cui lo Stato si impegna a ripianare i bilanci dei vari gestori.

Siamo in presenza, quindi, di un assetto del vasto complesso dei servizi pubblici che non può non tener conto delle modifiche avvenute ma che, al tempo stesso, mantiene in vita procedure, norme e approcci gestionali, non solo superati ma completamente antitetici alle esigenze della mobilità urbana ed extraurbana.

Penso che per comprendere questa preoccupante anomalia, per capire cioè quanto il nostro Paese sia rimasto fermo al passato nella erogazione e nella gestione del trasporto pubblico locale, siano sufficienti i seguenti due dati:

– ogni famiglia spende mediamente per il trasporto pubblico locale un importo di circa 820 euro all’anno; cioè globalmente le famiglie italiane spendono oltre 32 miliardi di euro l’anno;

– lo Stato ripiana il disavanzo delle aziende che gestiscono il trasporto pubblico locale con un importo pari a circa 6 miliardi di euro l’anno.

Sicuramente, nei prossimi mesi produrrò proposte più mirate e più articolate per il rilancio funzionale dei servizi legati al trasporto pubblico locale, ma penso che il primo punto da affrontare debba essere proprio il superamento di quei due ultimi dati che, da soli, denunciano l’assurdo peso del trasporto pubblico locale sul bilancio delle famiglie e, al tempo stesso, la inadempienza gestionale delle aziende preposte alla gestione di tale servizio.

L’obiettivo diventa sia quello legato all’abbattimento dei costi, sia quello legato alla qualità ed alla efficienza dei servizi resi. Un lavoro non facile ma che l’attuale Governo non può in nessun modo sottovalutare.

(*) Tratto dalle Stanze di Ercole

Aggiornato il 12 settembre 2023 alle ore 14:21