Le epurazioni della democratica Schlein

Non è una piccola fiammiferaia. Ma, allo stesso tempo, non è disposta – per sua ammissione – a tornare “al meccanismo dei caminetti, dove decidono sempre gli stessi”. Perché non prende mai una decisione “senza averne ascoltate prima almeno dieci. Credo in una leadership capace di avere a fianco le persone più competenti”. Così la pensa la democratica Elly Schlein intervenuta a Cartabianca, su Rai Tre. Non le vanno giù le parole di Matteo Renzi, leader di Italia Viva (“chi rappresenta la sinistra massimalista entusiasma la curva degli ultras e poi perde tutte le elezioni, anche quelle condominiali”) e allora si arma di secchio, cazzuola e cemento: “Devo ricostruire il condominio, dopo che è passato lui”. Intanto, da quando è segretaria del Partito Democratico, le crepe nella palazzina dem non si arrestano. Prima le bastonate (politiche, sia chiaro) rimediate tra Amministrative e ballottaggi, poi i malumori interni. Qualcuno si chiede se abbia capito dove si trovi, altri attendono un segnale. Mentre Fabrizio Roncone sul Corriere della Sera chiosa: “Il timore di molti è che il suo programma sia proprio solo quel nome così esotico (nemmeno più il suo trench, perché andiamo verso l’estate)”. Insomma, bene ma non benissimo per la barricadera nata a Lugano. Una che non ama l’autoritarismo, ma che non disdegna le epurazioni. Già, perché la multiculturalista Schlein decide di far fuori Piero De Luca – figlio dell’acerrimo nemico Vincenzo De Luca – da vicecapogruppo alla Camera, personaggio scomodo nella pancia Pd.

E il diretto interessato, su Facebook, nel frattempo si toglie qualche sassolino: “Nell’augurare buon lavoro al nuovo ufficio di presidenza, non posso non rilevare che la vicenda del Gruppo parlamentare ha assunto in queste settimane un significato politico-simbolico ben superiore ai destini dei singoli, per cui credo doveroso esprimere una riflessione”. E non sono parole di miele: “Io credo che un grande partito come il Pd debba rilanciarsi parlando di temi, di contenuti, di idee, di progetti, anche di sogni per il futuro del Paese. Debba in sostanza parlare di qualcosa, non lavorare contro qualcuno; debba impegnarsi per aggregare e costruire, non disgregare o distruggere e debba farlo possibilmente con una linea politica chiara, non ambigua o equivoca, sulle grandi questioni di attualità. Ma forse ad alcuni di rafforzare il partito interessa davvero poco”. Poi la sintesi dello stato dell’arte: “È chiaro a tutti che le logiche che hanno prevalso in questa vicenda, per quanto mi riguarda, non sono state fondate né su dinamiche politiche, né sulle competenze, né sul contributo al lavoro parlamentare, ma risentono di scorie ancora non smaltite delle ultime primarie. Si è consumata una sorta di vendetta trasversale che non fa onore”.

Insomma, in questo condominio volano stracci un giorno sì e l’altro pure. Il deputato Pd, Lorenzo Guerini, secondo quanto appreso non avrebbe accettato i processi a un cognome. Nell’assemblea del gruppo alla Camera ha ritenuto sbagliato, in soldoni, “trasformare questo passaggio nella ricerca di uno scalpo politico”. Mentre Marianna Madia se la prende con il “metodo”. E parla di una operazione “punitiva senza mordente”. Operazione che mette nel mirino “solo una persona per il suo cognome”. Infine, invoca serietà nell’affrontare i problemi. Ma forse per quello serve l’armocromista.

Aggiornato il 07 giugno 2023 alle ore 12:53