Democrazie depresse: come rigenerare il voto

L’anoressia da voto coincide o no con la “inappetibilità” dell’offerta politica? È colpa degli elettori o dei politici, se esiste solo un “mercato chiuso” delle candidature, così come decise nelle segrete stanze dai mandarini sempre più screditati dei partiti? Forse, in alternativa, per riequilibrare il tutto, potrebbe funzionare un contrappeso popolare come una norma generale che faccia obbligo delle primarie nelle elezioni per la scelta diretta dei presidenti delle Regioni e dei sindaci delle medio-grandi città. Inoltre: se ad ogni elezione i Partiti che chiedono il voto sono sempre più distanti dalle aspettative dei cittadini, non si debbono poi nutrire da parte dei partiti stessi irrealizzabili prospettive da urne piene. Nessuno sembra accorgersi di come gli elettori insistano in cuor loro per la “messa a terra” (frutto di soluzioni tecniche e di stanziamenti finanziari adeguati e coerenti) di progetti concreti, che impattino energicamente sugli aspetti del quotidiano, come trovare lavoro o mantenerlo, viabilità, trasporti, scuole e sanità. Il terzo atto di questo dramma di quasi morte cerebrale della democrazia italiana (e non solo) riguarda il grande guaio della perdita d’Identità politica. Se quest’ultimo aspetto ha di recente recuperato a destra, grazie alla esuberante personalità della Leader di Fratelli d’Italia, a sinistra si naviga nel vuoto più assoluto.

Questo perché, storicamente, il socialcomunismo italiano aveva la sua colonna vertebrale nell’operaismo e nella difesa sociale delle fasce sottoproletarie, riuniti in un blocco “rosso” vasto e coeso, contrapposto all’altro colosso dei ceti popolari “bianchi” della piccola-media borghesia, dell’imprenditoria e dell’artigianato. Con il post-Guerra fredda e l’avvento della globalizzazione, il vero perdente della prima (il socialcomunismo, che da allora non ha mai fatto una seria autocritica delle sue colpe né delle atrocità dello stanilismo) ha cavalcato politicamente la seconda, dopo essersi diluito nel fonte battesimale centrista intriso di ex “bianchi” progressisti. All’interno dei processi di “mondializzazione” dell’economia, la sinistra-centro del cattolicismo progressista ha recitato il mantra inesauribile dell’esaltazione dei pregi e delle virtù del multiculturalismo, delle migrazioni aperte, della pioggia abbondante e incessante di sempre più diritti, svincolati dai doveri e dalle sanzioni relativi. Di conseguenza, il sogno infranto della bonanza dello sviluppo senza limiti ha portato al suicidio politico della società occidentali e delle loro classi operaie, già impiegate in massa nelle manifatture metalmeccaniche. Oggi le grandi democrazie si ritrovano sempre più disarmate e impotenti dinanzi alle autocrazie di Russia, Cina, Iran, Turchia, dipendendo da loro per le forniture energetiche e le catene di valore globalizzate dei beni di consumo.

Ma per la sinistra è andata anche molto peggio, avendo perduto il suo Soggetto proletario di massa, per inseguire inutilmente una società sempre più fluida. Come rimedio, la sinistra stessa ha scelto di autoconfinarsi sempre di più nel ridotto Ztl ultraborghese delle cittadelle benestanti, e moralmente fortificate del Politically correct e dei diritti Lgbtq+. Su quest’ultimo aspetto, ha di recente dato il meglio di sé il Festival di Sanremo 2023, figlio prediletto dell’ultimo monopolio rimasto alla sinistra mondiale: quello dei media e dello spettacolo, grande stampa compresa. Così, Senza minimamente accorgersi, di elezione in elezione, la sinistra-centro ha perduto i ceti popolari delle grandi periferie urbane disagiate e diseredate, che nel tempo sono rifluite lentamente ma inesorabilmente negli spazi politici iper-identitari della destra moderna e storica. L’ultimo atto in ordine di tempo della ribellione alle leadership ultranazionali e locali, queste ultime diretta derivazione ancillare delle prime, è stato il populismo, nella sua versione italiana gialloverde (Cinque stelle, Lega e Fratelli d’Italia), antieuropeista, antimondialista, anti-immigrazione e protezionista. E poiché nei Cinque stelle, partito di maggioranza relativa nel 2018 con il 33per cento dei consensi elettorali, si è avverato in forma di governo l’ossimoro della “leadership dell’antileadership” l’impreparazione estrema delle classi dirigenti pentastellate ha distrutto nel corso della passata Legislatura ogni possibile sogno di rivoluzione popolar-populista del potere.

Oggi, anche il fenomeno del grillismo senza Beppe Grillo è rifluito stancamente nell’ottobre del 2022 verso il più bieco assistenzialismo populista del reddito di cittadinanza a oltranza, tenendo elettoralmente soprattutto nel Sud dove maggiore è il disagio sociale. Ma il Movimento, o la sua versione residuale attuale, rimane profondamente intriso dell’ambiguità politica delle origini che lo vuole “né di destra, né di sinistra”, con scarsa propensione alle alleanze elettorali, fiero della sua ‘diversità’, anche se proprio la sinistra-centro post-1992 ha fatto di tutto per annoverarlo tra i suoi ranghi, fallendo nell’impresa sia a livello nazionale che locale. Nel frattempo, mentre la destra-centro si è saputa sempre ricompattare (anche in maniera opportunistica) e vincere nelle recenti competizioni elettorali, ben al contrario a sinistra si è iniziato, oltre che a divedersi more solito, a parlare di Opa concorrenziale tra Pd e M5s. Onde per cui le due maggiori componenti della sinistra rosa-giallo hanno perso divise le elezioni, guardandosi in cagnesco di sondaggio elettorale in sondaggio elettorale. E qui viene il punto, con la domanda del perché gli opinion-poll siano così più importanti della politica vera, rappresentando oggi le uniche ‘vele’ per raccogliere il vento della protesta e dei malumori popolari di ogni sorta, in assenza di serie proposte politiche a medio-lungo termine. La risposta è ovvia: domina anche nel quotidiano della politica il regime del tempo che fugge dei social network.

Ovvero, un tweet, un post, un e-message durano lo spazio di un mattino e, come tutte le sostanze addittive, a causa della loro rapida caducità, occorre rincarare la dose il giorno successivo, perfino accettando il rischio della contraddizione e del paradosso. Chiaramente, così non può funzionare, e il principio democratico cessa di avere senso in politica. Infatti, la nuova ideologia dominante è “nessuna ideologia”, per cui hanno così contemporaneamente tutti torto e ragione, e il consenso elettorale si muove come un’onda marina, con i suoi incessanti flussi e riflussi, non riuscendo mai a focalizzarsi su nessun vero progetto a lungo termine di nuova società. Ed è così che l’attività politica va sempre più omologandosi al mondo social, fortemente polarizzato nelle figure che monopolizzano per brevi periodi il mercato degli influencer, la cui merce privilegiata sono gli slogan e le immagini a effetto. E poiché tutto ciò non ha nulla a che fare con il campo complesso della proposta politica articolata, ecco che la mutuazione in tale ambito del modello social diventa di per sé destrutturante. A prevalere anche qui, infatti, sono leadership politiche di celluloide, fortemente caratterizzate ma transeunti (vedi Di Maio e Di Battista, ad esempio), senza vero carisma né pensiero ‘lungo’: il solo quest’ultimo che possa farsi carico nei tempi medio-lunghi del cambiamento sociale.

Esiste una via d’uscita per arrestare questo declino inesorabile delle democrazie occidentali? Fermandosi a riflettere sui suddetti meccanismi a-politici varrebbe la pena sfruttarne le proprietà intrinseche, per invertire la rotta. Ribaltando il pensiero politologico corrente, sarebbe sufficiente interpretare l’astensionismo dilagante come una precisa, determinata volontà collettiva di “auto-rappresentazione”. Non più, quindi, sondaggi pilotati e commissionati da enti, soggetti politico-istituzionali e Partiti: per interrogare l’universo-mondo dell’opinione pubblica nazionale, basta costituire su di una piattaforma ad hoc dedicata dell’Istat un Big-data “Op” contenente tutti gli indirizzi certificati di milioni di cittadini che intendono partecipare ai sondaggi di opinione, indetti da soggetti autorizzati dalla legge previo parere della suprema magistratura. In parallelo, è possibile attingere allo stesso strumento per la presentazione di proposte di legge a iniziativa popolare, firmate digitalmente da proponitori e sostenitori, creando forti corsie preferenziali per il loro esame prioritario in Parlamento, qualora si superi una soglia critica “X” (cinquecentomila, ad esempio) di firme, facendo sì che lo stesso Comitato promotore abbia temporaneamente rango di soggetto istituzionale, per il confronto diretto con le commissioni parlamentari competenti. Per rivoluzionare, però, i comportamenti ancillari della politica nei confronti dei poteri mass-mediologici occorre coraggio. E pare, purtroppo, che qui ricadiamo proprio nella famigerata figura retorica del Don Abbondio manzoniano.

Aggiornato il 16 febbraio 2023 alle ore 09:41