A proposito di Graziella De Palo, Italo Toni, dei “segreti di Stato”

Su Il Venerdì di Repubblica in edicola questa settimana Loredana Lipperini ripercorre la vicenda, tragica e misteriosa, di Graziella De Palo e Italo Toni scomparsi in Libano 42 anni fa; ed è inutile farsi illusioni: uccisi. Con Graziella e Italo (e Loredana), quando tutti eravamo più giovani, si faceva Notizie Radicali, in un paio di stanzucce nella sede radicale di allora, a via di Torre Argentina 18, a Roma. Poi ognuno ha preso strade diverse. Graziella e Italo, purtroppo, quella di Beirut. La loro fine è un mistero, non un segreto; che l’Italia questo è: Paese di misteri, non segreti. Sappiamo che erano in Libano con una sorta di “lasciapassare” fornito dall’Olp. Cosa sia esattamente successo lo sanno forse due sole persone, oltre i sequestratori e gli assassini: l’allora rappresentante dell’Olp a Roma Nemer Hammad; e il capo-stazione del Sismi (Servizio per le informazioni e la sicurezza militare) di Beirut, Stefano Giovannone. Entrambi morti senza essersi lasciati sfuggire una sillaba. Giovannone è lo stesso ufficiale dei carabinieri citato in una delle lettere di Aldo Moro, prigioniero delle Brigate rosse. Uno “spione” intelligente e capace, che dava punti ai suoi colleghi della Cia, del Kgb, dello Sdece, del Mossad, dell’MI5 e MI6. Del famoso e citato “lodo Moro” sapeva tutto.

Come ho detto, è morto anni fa: infarto. Mai una parola. “Ragione di Stato”, in tutte le sue declinazioni e significati, nobili e meschine. Rudyard Kipling l’avrebbe inserito ammirato nel suo Kim. Per me la storia di Graziella e Italo si riassume in una specie di scioglilingua: hanno fatto la domanda giusta alla persona sbagliata. Oppure hanno fatto la domanda sbagliata alla persona giusta. Il risultato finale non muta. Forse qualcuno ha creduto che Italo e Graziella fossero “qualcosa” che non erano. Forse hanno visto e saputo qualcosa che non dovevano vedere e sapere. Forse qualcuno ha creduto che sapessero e avessero visto, e non ha voluto correre rischi. Supposizioni, nulla più. Poi c’è quel segreto di Stato.

Il presidente del Consiglio Giorgia Meloni promette di fare quello che è in suo potere perché le carte disponibili siano rese note e pubbliche. Non c’è da dubitarne. Ma quali carte? Chi è un po’ esperto di queste cose, sa che di scritto non si lascia molto quando si tratta di certe faccende. Poi si ha cura di conservare quella carta non dove si dovrebbe (distruggere un documento è reato), “semplicemente” lo si lascia scivolare, per “errore” in un faldone “altro” rispetto a quello che dovrebbe; così fa la fine dell’arca, nell’ultima scena del film di Steven Spielberg, I predatori dell’arca perduta.

Detto questo, per dire della poca o nulla fiducia sulle pratiche conseguenze della promessa (sicuramente sincera) di Giorgia Meloni, più prosaicamente mi vien da pensare a una interrogazione che molti anni fa suggerii all’allora gruppo parlamentare radicale alla Camera dei deputati (Maurizio Turco, Marco Beltrandi, Rita Bernardini, Maria Antonietta Farina-Coscioni, Matteo Mecacci, Elisabetta Zamparutti). Un’interrogazione a risposta scritta, per sapere, dal 1950 quanti segreti di Stato erano stati apposti, e su quali materie. Un semplicissimo elenco, senza entrare nel merito. Come mi aspettavo, nessuna risposta. Perché a questo, siamo: spesso si legge di “segreto di Stato” apposto su questo o quello. Ma non sappiamo esattamente e formalmente su “cosa” e “quanti” (figuriamoci sul perché).

P.S.

Se Meloni rispondesse a questa domanda già sarebbe qualcosa.

Aggiornato il 23 dicembre 2022 alle ore 12:52