
L’esito del voto era in parte scontato. Giorgia Meloni (prossimo primo ministro?) ha concretizzato le aspettative con un voto più che soddisfacente, la Lega crolla (ma citando Matteo Salvini: “Con il doppio dei voti nel governo Draghi contavamo poco, adesso saremo protagonisti”). Forza Italia ancora riesce a contare su una piccola ma, comunque, dignitosa partecipazione. Venendo alla “sinistra” (che tutta insieme fa meno di Fdi), il risultato del Partito democratico, con meno del 20 per cento è pienamente imbarazzate, mentre Alleanza Verdi e Sinistra sta sotto al 4 per cento e +Europa sotto al 3 per cento.
Il cosiddetto “Terzo polo” sta poco sopra al 7 per cento e il partito guidato da Giuseppe Conte riesce a guadagnare un più che interessante 16 per cento. Luigi Di Maio non pervenuto: per lui potrebbe riaprirsi la strada al mondo del calcio. L’astensione, primo partito, dimostra l’insoddisfazione e l’insofferenza di molti italiani nei confronti della proposta politica: chi, rispetto a me, sta in questo mondo da quattro o cinque decenni, non potrà dimenticare le campagne elettorali di un tempo, molto più lucide nei contenuti e più aggraziate nei modi. Ce ne vuole di coraggio a chiamare “campagna elettorale” l’avanspettacolo permanente che vediamo negli ultimi anni.
Sia Carlo Calenda che Enrico Letta dicono che faranno grande opposizione. Per il primo il Paese è consegnato in mano ai populisti che “vivono di sussidi, promesse, regalie”, per l’affossatore della sinistra invece l’opposizione sarà “dura e intransigente”. Giustamente, quando non si sa né governare una nazione né garantire dignità a un partito, per Letta l’unica via percorribile è quella di stare seduto, con quell’aria romantica e addormentata, a fare opposizione (ve lo immaginate Letta, flemmatico, a fare dura opposizione?).
I crolli più notevoli sono quelli di Salvini (che dà la colpa alla partecipazione ad un governo con sinistra e 5 stelle) e quello generale della sinistra, che ha realizzato una campagna elettorale ridicola, a tratti grottesca, rassegnata. Ricordo un messaggio elettorale di Debora Serracchiani di qualche settimana fa: rumori in sottofondo, illuminazione da camera ardente, nessuna cura personale (al limite della sciatteria) da parte della candidata. Per non parlare degli slogan “Scegli”, dove spesso ho fatto fatica a capire se la frase successiva fosse vera o meno.
Il merito della Meloni sta tutto nella coerenza (si, proprio la coerenza, a dispetto di quello che dicono “anche lei è stato al Governo”, dimenticando che era ministro con Berlusconi e che questo è successo più di dieci anni fa), nella disponibilità, nell’ascolto, nell’opposizione fiera ma non esaltata, nel dialogo e con lo scambio di battute con suoi detrattori (genitori single e company). Il discorso sulle devianze non appare, come molti dicono, come un vento perturbante dai connotati fascisti, ma forse come l’accensione di una luce rispetto a questioni che, se in parte risolte, garantirebbero un diverso clima sociale.
Alla fine, però, la sinistra farà la sinistra e la destra farà la destra. Sempre seguendo l’orientamento e l’attivismo intrapreso negli ultimi anni. La sinistra (che per me è tutto ciò che va da Letta a Matteo Renzi passando per Calenda) continuerà a vivere di gite in yacth, di discussioni ambientaliste negli attici a Prati, probabilmente anche nella gated-community dei Parioli (con le discoteche, la cocaina a vagoni, le gang), con i suoi adepti sempre colorati e pieni di striscioni contro i “fascisti al governo”.
La destra sarà invece dalla parte di chi non riesce a pagare le bollette, forse aperta alla pace fiscale di Salvini, dalla parte delle famiglie, dei lavoratori che muoiono in fabbrica (quelle che la sinistra non sa nemmeno cosa siano) e del blocco ai clandestini (irregolari). Sui contenuti internazionali – unico spazio di indecisione su ciò che potrebbe accadere – si potrebbe tentare un avvicinamento alla Russia (non in chiave di sudditanza putiniana) nella speranza di una seria trattativa con l’Ucraina (Silvio Berlusconi meglio ministro degli esteri che presidente del Senato) e aprire una riflessione più profonda sulle sorti dell’Europa con i signori di Bruxelles. All’insediamento dei nuovi parlamentari mancano ancora alcune settimane e un mese è il tempo che dobbiamo aspettare per il governo (Meloni). In quest’attesa, che avrà inevitabilmente i toni di una campagna elettorale retroattiva, con una sinistra in preda alla frustrazione della sconfitta e una destra che in realtà non va molto d’accordo, non possiamo far nulla se non confidare nell’onestà e nelle silenziose analisi del presidente Sergio Mattarella.
Aggiornato il 27 settembre 2022 alle ore 14:39