L’inutile strabismo pacifista

Proclamarsi pacifista non è un reato, ovviamente. Ma ci si può chiedere quale differenza tale proclamazione intenda stabilire con chi non la fa. Credo che la maggior parte dei pacifisti sia persuasa di aver scoperto la via giusta, per evitare ogni possibile guerra, vantando perciò la propria distinzione rispetto a coloro i quali, poveri tapini, magari deprecano ogni atto bellico ma non sono stati fulminati dalla loro geniale intuizione.

Il fatto è che solo qualche scapestrato, in special modo dopo la fine della Seconda guerra mondiale, può gioire di fronte a un atto bellico, ma guerre regionali non sono mancate e non risulta che alcun movimento pacifista abbia contribuito alla loro conclusione. Certamente la storia ci insegna che varie forme di non violenza hanno avuto localmente qualche successo, come nel caso di Gandhi, delle scuole norvegesi o della popolazione danese durante l’occupazione nazista. Tuttavia, in Ucraina, non è in atto solo una serie di soprusi bensì un vero e proprio conflitto fra due eserciti e, dunque, è lì che il pacifismo dovrebbe mostrare la propria efficacia. Se non lo fa, è perché l’eventuale pacifismo interiore dei militari, per giunta in guerra, non ha spazio e verrebbe inevitabilmente definito diserzione.

La chiave di volta della questione è, quindi, sempre la stessa: come fare a indurre l’atteggiamento pacifista in tutti gli esseri umani, in modo tale da rendere senza senso eserciti e armi? Si tratta, in tutta evidenza, di una utopia senza speranza, anche se lo sviluppo della democrazia liberale, come già chiarito a suo tempo da Immanuel Kant, può comunque rendere le relazioni internazionali meno inclini al conflitto armato. Per ora, di fronte ad aggressioni come quella in atto in Ucraina, non c’è altro da fare se non, da un lato, mobilitare tutte le risorse della diplomazia e, dall’altro, aiutare gli ucraini a difendersi in modo che l’aggressore si renda conto che il suo gesto non è accettato dalla Comunità internazionale e che, per bene che gli vada, dovrà accontentarsi di un successo molto più limitato di quello desiderato.

Se questo è il quadro razionale della situazione e della sua possibile dinamica, è però evidente che per la sua realizzazione a ben poco servono le prediche pacifiste, per il semplice motivo che non esiste una controparte la quale abbia il dovere di ascoltarle e seguirne l’indicazione. Senza una parallela azione diplomatica, la predica del Papa è mera vox clamantis in deserto così come lo sono le sentenze dei pacifisti minori della sinistra meno aggiornata. Ma anche la sola attività diplomatica non basta, poiché l’aggressore intuisce facilmente che la via militare sta garantendogli crescente supremazia. La difesa militare ucraina va dunque aiutata senza incertezza, poiché la nostra capacità di abbassare il livello del conflitto avrebbe senso solo se potesse agire su ambedue i contendenti mentre su quello russo sarebbe, ed è, del tutto inefficace. A questa dissimmetria il pacifismo potrebbe contribuire a porre rimedio unicamente se si rivolgesse all’aggressore come primo se non unico obiettivo, rinunciando a elevare sterili cori di propiziazione a una fantomatica Dea Pax.

Aggiornato il 01 aprile 2022 alle ore 10:37