I giovani perbene di Atreju in corsa per il futuro

Di “Atreju 2021. Il Natale dei Conservatori”, la kermesse che si è appena conclusa a piazza Risorgimento, a Roma, sappiamo abbastanza: l’appello per il “patriota” Silvio Berlusconi al Quirinale di Giorgia Meloni, l’avvicendarsi di leader da Luigi Di Maio a Matteo Renzi a Marta Cartabia, a Matteo Salvini con il passaggio del segretario del Partito Democratico, Enrico Letta, per rinsaldare il bipolarismo degli opposti estremismi. Meno sappiamo, invece, dei giovani di Atreju, la costola verde di Fratelli d’Italia, soprattutto dopo le inchieste di Fanpage e le accuse di post-fascismo. Sono “antifascisti” i ragazzi e le ragazze selezionati per rappresentare la nuova destra italiana? E quali sono i loro valori?

Mi sono intrufolata tra casette di legno e Babbi Natale nel villaggio delle tradizioni per scovare “quelli che parlano meno”, i silenziosi fruitori, gli sfuggenti e gli anonimi del partito che avanza e che, nonostante la batosta delle Amministrative romane, puntano alla prossima tornata elettorale. Volevo vedere de visu i “fratellini d’Italia”, questo elettorato trentenne globalista e conservatore, fondato dalle ceneri del passato: dal Fuan di missiniana memoria, da Azione Giovani della svolta di Fiuggi del 1995, un passa e ripassa nei setacci delle sigle per scorporare estremisti, nostalgici avanguardisti, finiani stretti e individuare l’ala giovanile del partito fondato da Giorgia Meloni, Ignazio La Russa e Guido Crosetto nel 2012.

Il movimento, presieduto da Fabio Roscani e spinto da Stefano Cavedagna, si chiama “Gioventù Nazionale”: 50mila iscritti, 20 coordinamenti regionali, 100 federazioni provinciali, molto social e un codice etico che vincola all’amor patrio, al bene pubblico, all’onestà e al ripudio di interessi e meritocrazie. Giovani che non appartengono alla cultura degli Anni di piombo e temo che di quella destra sappiano poco. Si dirà: è un bene. Forse. Ma la politica nasce dalla memoria e senza rimuovere i blocchi del passato, creati dalla violenta stagione della sinistra, si rischia di non avere radici e demonizzare ciò che invece andrebbe riscattato. Sono convinta che un futuro libero e sano possa nascere solo facendo giustizia a chi non l’ha avuta e verità per chi è stato scambiato in una guerra “a bassa tensione” in cui sono stati stravolti i valori, innalzato l’ateismo e confuso il male col bene anche in fatti e persone. Non restaurazione, verità.

Di tutto questo i ragazzi di Atreju sanno quasi nulla e, seppure conoscono qualcosa, non hanno la rabbia di ripartire da lì, dall’inizio di tutto. Non portano i capelli rasati, non ho visto svastiche e saluti romani, non sono No Vax, sono ragazzi molto “normali”. Sì, certo ci sono anche i più maturi, quelli della sezione di Colle Oppio, per esempio, che hanno lanciato i festival di Atreju dal personaggio de “La storia infinita” di Michael Ende e come madrina c’è l’effervescente Chiara Colosimo, i quali incarnano il prototipo del militante anfibi e giubbone, politichese sciolto, slogan moderati. Ma la curiosità spinge verso i freschi universitari, i post liceali, i virgulti dell’idealità, coloro cui spetterebbe colorare di provocazioni e proposte i programmi, gli anti Sardine per intenderci. Che pensano di tutto questo: lockdown, Governo di unità, fisco, disoccupazione, immigrazione?

La generazione degli anni Settanta aveva “la guerra tra rossi e neri” e ha fatto la storia, in male forse più che in bene, ma al contempo ha spinto la politica a misurarsi con l’elettorato, a fare i conti con la piazza e la protesta, a rincorrere quanto emergeva dal basso, non la politica delle leadership odierna. Pulsante, vera, sanguigna. I comizi e le manifestazioni, ma anche urne incandescenti e non batoste col 50 per cento che non va a votare. Temo che questa destra giovanile – seppure non sia binaria, trans, atea, non abbia né la svastica né lo smalto e nasca già antifascista per breviario comunista – sia spaesata. Patrioti sì, ma senza patria. Cioè idealisti di un mondo che non c’è come nelle promesse dall’alto, che va in senso opposto, che meriterebbe non omologazione ma “una guerra santa”, se non di armi di idee coriacee come gli scudi dei Romani e onorevoli come l’alloro dei Greci. Invece i giovani di Atreju sono compostissimi. Ordine e rispetto e un bene manifesto per Giorgia Meloni. Non contestano, non chiedono, non commentano, si stringono intorno al progetto e Giorgia è tutto: la leader, la donna, la madre, la cristiana, l’ideale.

Avanza un genere nuovo? Da una parte i compagni e le compagne del progressismo sessista, gli ammaestrati della cancel culture per una società pansessuale di dis-valori contro i residui nostalgici del Novecento e dall’altra i “Fratelli perbene” allineati e uniti? “Per noi antifascismo non vuol dire niente”, spiega uno dell’Università di Tor Vergata “non siamo mai stati fascisti e per fascismo intendiamo un tempo della storia a cui appartengono personaggi, fatti e leggi”.

Gli fa eco l’amico della facoltà di Medicina: “Sarebbe ridicolo doverci professare anti qualcosa che neppure consideriamo”. E sui temi cardine del razzismo, dell’omofobia, delle libertà? Ecco la risposta: “Si possono avere amici gay, neri, ebrei, immigrati, nessuna preclusione, ciascuno è una persona, però la persona è parte della comunità coi suoi diritti, ma anche con un preciso ruolo e impegno”.

Manco a dirlo, “i meloniani” sono contrari ai fannulloni, agli speculatori del reddito, agli immigrati che violano le leggi: “La diversità tra noi di Fratelli d’Italia e gli altri militanti è che la maggior parte ragiona per paradigmi politici. Noi, invece, costruiamo le nostre sfide sull’economia, sul sociale reale, sul futuro. La vera inclusione sono la cultura e il lavoro”. Ma quale cultura se la sinistra ha capovolto i parametri e quale lavoro se dilaga la disoccupazione planetaria? Basta dirsi patrioti per volere il Paese e governarlo?  La scommessa è qui. Questi giovani di una destra educata e fiduciosa meritano molto. Più voce, più spazio, più storia.

Aggiornato il 15 dicembre 2021 alle ore 09:43