
Ricordo la definizione che, oltre centocinquanta anni fa, dette Max Weber al significato di città: “Ambito territoriale caratterizzato dalla presenza di un complesso di funzioni e di attività integrate e complementari, organizzato in modo da garantire elevati livelli di efficienza e da determinare condizioni ottimali di sviluppo delle strutture socio-economiche”.
In fondo, durante il lockdown pensavamo che avremmo rivisto una simile definizione, pensavamo cioè che dopo mesi di isolamento e di naturale ritrosia nei rapporti con tutti coloro che utilizzavano l’ambito urbano, difficilmente saremmo stati disponibili ad un ritorno nelle abitudini tipiche che da sempre avevano caratterizzato il nostro rapporto con la città.
Invece, Stefano Cingolani su “Il Foglio” del 18 ottobre ha ricordato: “Con la pandemia via dalla pazza folla, addio metropoli, il villaggio, il bosco, il focolare, l’umanità abbandona l’esistenza fatua e mefitica, lascia gli spazi angusti nei quali l’uomo si è fatto inscatolare, si rifugia nella rassicurante culla dell’inattuale. No, il borgo non è il passato, ma il nostro futuro, pontificano i soloni che poco prima rimiravano le torri di vetro e acciaio splendenti di luci. La pandemia è una ramazza terribile, insistono, ma spazzerà via le ultime illusioni del pensiero unico. È così? Quasi due anni dopo, mentre, incrociando le dita, il Covid-19 si spegne sotto l’attacco dei vaccini, più diffusi proprio nelle aree urbane, la città non è morta, non è muta, vuota e abbandonata, ma resta il luogo dove si consuma la ricerca di una nuova ragion d’essere per la vita in comune”.
In questo ritorno in città, Cingolani scopre una novità: “Con la pandemia non c’è stato nessun vero esodo; chi ha lasciato i centri urbani, chi si è rifugiato in campagna, nei borghi, nella seconda casa o nel nido avito, o è ritornato oppure fa spola, molti dividono la loro settimana, soprattutto se sono passati allo smart working, in ogni caso la loro vita fa perno sulla città, per il lavoro, per lo svago, per l’apprendimento e trovano una città che essi stessi, anche con la loro reazione alla pandemia, stanno contribuendo a cambiare”. E Cingolani invoca una bella definizione di città fatta da Italo Calvino: “Le città si dividono tra quelle che continuano attraverso gli anni e le mutazioni a dare forma ai desideri e quelle in cui i desideri o riescono a cancellare la città o ne sono cancellati”.
Ho voluto utilizzare sia l’approfondimento di Cingolani, sia le definizioni fatte da Calvino perché, a mio avviso, stiamo vivendo un momento particolare che forse, nei prossimi anni, definiremo come una vera rivoluzione socio-economica. Come ricordato da Cingolani, faremo spola tra la città e la campagna, tra il costruito e il non costruito e questa abitudine annullerà lo spazio temporale della settimana, annullerà la logica che distingue i giorni del lavoro da quelli del weekend dedicato allo svago e il ricorso alla digitalizzazione non incrinerà minimamente questa rincorsa verso una mobilità sistematica, verso una presenza diretta non tanto nell’acquisto dei prodotti essenziali, non tanto nel rapporto con i centri della Pubblica amministrazione, quanto nella volontà di vivere e di usare, in realtà, in modo diretto due distinti habitat quello della casa in città in cui l’entropia è elevata e quello della casa fuori dalla città dove l’entropia è inesistente.
Ma sicuramente molti diranno che questa abitudine era in atto da moltissimi anni; in fondo, la corsa alla seconda casa rispondeva proprio a questa esigenza di dividere, di distinguere i due momenti della vita; in realtà una simile osservazione non tiene conto che quella distinzione aveva una specifica liturgia, una particolare articolazione: si usava la seconda casa o si andava nel borgo solo “in vacanza” (una vacanza breve, cioè il weekend, o lunga invernale o estiva). Invece ci avvieremo verso l’annullamento dell’abitare come riferimento fisso, come residenza, come domicilio sistematico e identificabile anche nelle sue caratteristiche strutturali. Questa sarà una abitudine possibile solo per i ricchi, solo per una fascia di cittadini benestanti? Penso proprio di no; perché quello che non manca agli italiani è la disponibilità o di seconde case o di case di genitori o di parenti nell’intorno delle grandi e medie città.
Questo fenomeno che coerentemente a quanto detto da Cingolani vivremo presto produrrà un cambiamento sostanziale nella organizzazione della logistica, della mobilità all’interno ed al contorno delle nostre grandi e medie aree urbane. Sicuramente inizialmente esploderà, come è già avvenuto dopo il ridimensionamento della pandemia, il trasporto privato, il ricorso alla propria o alle proprie auto ma nell’arco di un solo biennio dovremo reinventarci due offerte logistiche: una relativa alla rivisitazione del trasporto pubblico all’interno dell’urbano e una relativa alla sostanziale rivisitazione del trasporto pubblico nel contorno delle città. Questo ultimo trasporto non va confuso con il pendolarismo che ha delle caratteristiche temporali ben definite ma sarà caratterizzato da una sistematicità molto simile ad una offerta di trasporto di tipo “metropolitano”.
Insisto ma questa evoluzione, questo cambiamento porta, come detto prima, all’annullamento del concetto di residenza, di domicilio e, stranamente, cambia anche l’innamoramento spesso patetico verso il bene immobiliare, verso la propria casa e la casa diventerà quello che auspicava Le Corbusier:
“La casa è una macchina per abitare, non tanto in quanto automobile, ma come meccanismo, strumento per abitare, per realizzare spazi di qualità per la vita dell’uomo”.
La mobilità, la ottimizzazione dei processi logistici diventeranno sempre più un riferimento portante della nuova realtà abitativa ma il vero cambiamento è da ricercarsi nella scoperta di un nuovo modo di utilizzare i riferimenti fisici che, da almeno due tre secoli, avevano caratterizzato la nostra vita sociale e il ritorno, dopo la pandemia, all’esplosione dei rapporti, all’uso continuo dei servizi offerti dalla città, ci convincerà sempre più a sfruttare al massimo le due componenti dell’abitare quella nel “costruito” e quella nel “non costruito”.
(*) Tratto dalle Stanze di Ercole
Aggiornato il 29 ottobre 2021 alle ore 13:01