Dove sfocia il Gran Reset di rossi e neri

Forse qualcosa di storico è accaduto. Se non del tutto sconfitto, almeno svuotato risulta il tormentone “fascio-comunista” dopo le reciproche accuse volate nella prima tornata delle amministrative. Come se la “diabolica macchina” in moto dagli anni Settanta si fosse davvero rotta. Per fermare l’avanzata di Fratelli d’Italia la sinistra ha usato tutta la cavalleria “antifa” sull’onda dell’inchiesta di Fanpage, mirata a smascherare a due giorni dal voto una pattuglia di pericolosi nostalgici guidati dal “Barone nero” Roberto Jonghi Lavarini e infiammati dal duo di Forza Nuova Roberto Fiore e Giuliano Castellino, autori dell’assalto alla Cgil. Il Barone e la sua presunta lobby di camerati sono sotto inchiesta da parte della Procura di Milano per riciclaggio e finanziamento illecito, mentre i due estremisti di Forza Nuova, già “daspati” (sottoposti a divieto di avvicinamento), sono in carcere insieme con altri quattro.

Non ne escono meglio, però, gli accusatori del Pd e più precisamente i sinistri mediatici, specializzati ad usare la clava dell’antifascismo sugli avversari. Perché l’indomita Giorgia Meloni, classe 1977 e dunque lontana dalla generazione degli anni di piombo, è riuscita a smascherare la debolezza del ministro dell’Interno Luciana Lamorgese, la quale nel question time alla Camera sul sabato degli scontri ha ammesso la scelta di non fermare i sediziosi “perché in quel contesto c’era l’evidente rischio di una reazione violenta con degenerazione dell’ordine pubblico”.

Una spiegazione che ha scatenato i Fratelli d’Italia nella richiesta di “dimissioni”, accompagnate da prove che nelle manifestazioni in corso anche in altre città vi fossero pezzi dei centri sociali, sigle estremiste della sinistra e sospettando la mancata vigilanza del Viminale nell’assalto alla Cgil per favorire i competitori dei partiti di governo. Insomma, si era partiti con le infiltrazioni pericolose della destra e la richiesta di scioglimento di Forza Nuova e si è finiti con Giorgia Meloni a tutto campo contro la maldestra “strategia della tensione” di stampo rosso.
Tuttavia, attenti a cantar vittoria sul vecchio arnese fascio-comunista, perché uscito dalla finestra rischia di rientrare dalla porta. Di fatti un nuovo solco già divide la platea e schiera partiti e leader di qua e di là. Da una parte i Sì vax e dall’altra i No Pass alla prova della piazza e degli scioperi minacciati dai portuali di Trieste e dai camionisti d’Italia.

Al di là del malessere generato dal Covid, chissà perché in Italia pare impossibile sconfiggere la partecipazione dualista di Caino contro Abele, di Romolo e Remo, degli Orazi e Curiazi fino ai nostri giorni. Viene da chiedersi se dietro non vi sia una strategia del “dividi et impera”, visto che l’apocalisse dei vaccini è stata annunciata in modo neanche troppo nascosto dall’ex nunzio apostolico degli Stati Uniti, Carlo Maria Viganò. Il “monsignor complottista”, come lo chiamano, fin dai tempi delle presidenziali Usa ha parlato della teoria del “Gran Reset”, secondo la quale l’imposizione del vaccino, l’obbligo di passaporto sanitario e l’identità digitale sarebbero un metodo di tracciamento usato dalle élites mondiali per controllare il genere umano.

Francamente piazze e scioperi di questi contestatori paiono più “teppismi” da appassionati della gazzarra. Anche evocare oltremodo i principi di libertà, costituzionalità e democrazia suona spesso azzardato, perché se non fosse il Green Pass sarebbe la Tav, altrimenti restano sempre le curve da stadio. Di fatti nel suo editoriale Vittorio Feltri parla di “dittatura delle minoranze”, visto che il 70% degli italiani sta dalla parte dei vaccini e dell’attestato e l’indice di gradimento del premier Mario Draghi è al 60 per cento. Sinceramente gli argomenti di questa minoranza risultano lunari se non addirittura irragionevoli. Personalmente penso anche che l’ “era degli influencer” abbia scatenato la gara della visibilità, per cui tutti cercano “un momento di like” nella piattaforma dei social. E questo di fatto ridisegna la mappa delle appartenenze.

Qualcosa di diverso c’è. I fronti si mostrano sparigliati. Come ha fatto notare un anarchico del tipo di Oliviero Toscani, è la prima volta che certi indipendenti stanno dalla parte del governo e persone di estrazione diversa si ritrovano a favore delle regole e della scienza. Non più solo rossi o solo neri, insomma? Questo sì che sarebbe un gran reset! Secondo Nicola Piepoli, fondatore e amministratore delegato dell’istituto di analisi politica, il nuovo fermento che accompagna i ballottaggi potrà rimotivare l’elettorato, ma chiunque vinca avrà un dovere: governare le città e corrispondere i cittadini, destinati ad abbandonare le polemiche e a fondersi in reti civiche se vogliono essere ascoltati. Via il vecchio e avanti il nuovo? Speriamo prenda questa strada la grande risistemazione.

Aggiornato il 15 ottobre 2021 alle ore 12:11