
Il grande esperto di design per la sostenibilità, Ezio Manzini, ha dichiarato si deve andare verso “una città in cui alla prossimità funzionale ne corrisponda una relazionale, grazie a cui le persone abbiano più opportunità di incontrarsi, sostenersi a vicenda, avere cura reciproca e dell’ambiente, collaborare per raggiungere assieme degli obiettivi. In definitiva, una città costruita a partire dalla vita dei cittadini e da una idea di prossimità abitabile, in cui possano trovare ciò che serve per vivere e per farlo assieme ad altri”.
La stampa proprio in questo ultimo periodo ha dato ampio spazio alla costruzione di “una città dei 15 minuti”; in realtà la pandemia ha fatto scoppiare questa esigenza al rapporto diretto con gli spazi urbani, alla corsa a recuperare spazi abbandonati, a utilizzare le strade non per correrci con le auto ma per “incontrarsi”. Per un meridionale come me questa non è una scoperta, questa non è qualcosa da inventare ma, in fondo, è la tipologia classica delle nostre realtà urbane del Mezzogiorno in cui non è esplosa ora la volontà di incontrarsi, di frequentarsi, di tentare in tutti i modi di utilizzare gli spazi della città. Spesso tale tipo di “vita meridionale” era ed è ancora ritenuto ingombrante, era ed è concepito come distruttore della privacy; finalmente ora ne stiamo scoprendo e apprezzando le caratteristiche, perché sono diventate il motore del cambiamento del nuovo concetto di città.
Sempre Manzini ha ribadito che: “Per poter essere messa in pratica la città dei 15 minuti richiede un profondo cambiamento culturale e una forte volontà politica: occorre rompere definitivamente con una visione di città divisa in parti specializzate e, di conseguenza, operare per una radicale riorganizzazione delle infrastrutture esistenti e delle forme di governance”. Sicuramente la pandemia ha provocato, come detto prima, un cambiamento della città weberiana, cioè di “ambito territoriale caratterizzato dalla presenza di un complesso di funzioni e di attività integrate e complementari, organizzato in modo da garantire elevati livelli di efficienza e da determinare condizioni ottimali di sviluppo delle strutture socio-economiche” e nei prossimi anni ci avvieremo verso modelli completamente diversi.
Indipendentemente dalla pandemia, penso che una esperienza da monitorare sia quella che proprio in questi ultimi anni ha vissuto la città di Parigi. La guerra alle auto, in tale città, è diventata presto un tratto distintivo del mandato del sindaco Anne Hidalgo: gli spazi dedicati alle bici si sono moltiplicati su tutti i grandi assi di circolazione interna alla città, e parte del centro è stato pedonalizzato, in particolare la rive droite della Senna, chiuso alle macchine per quasi quattro chilometri, dal Bassin de l’Arsenal fino al Louvre.
Un’attenzione che ha anticipato un tema poi esploso durante la crisi del Coronavirus: la vivibilità della città, l’attenzione agli spazi pubblici e il ricorso a una mobilità diversa, non basata sull’automobile ma sul circuito integrato tra metropolitane, autobus, scooter elettrici, monopattini e biciclette in sharing. In realtà, la sindaca con l’obiettivo di ridurre l’inquinamento e aumentare la qualità della vita, ha promosso un programma che prevede nuove piste ciclabili, eliminazione di gran parte dei parcheggi su strada, nuovi spazi per uffici e coworking nei quartieri che ne sono privi, uso delle infrastrutture ed edifici pubblici al di fuori dell’orario standard, supporto ai negozi di vicinato, creazione di piccoli parchi nei cortili delle scuole e loro apertura alla popolazione locale al di fuori dell’orario scolastico. Questo tipo di politica ha chiaramente i suoi perdenti, i cosiddetti “franciliens”, gli abitanti della regione parigina che abitano nei Comuni satellite della città e che ogni giorno vi si recano per lavorare. Non sempre è possibile raggiungere il centro dalla periferia in modo semplice, e avere un centro città così ostile ai possessori di auto ha fatto imbestialire moltissimi pendolari.
C’è un vantaggio per il sindaco di una capitale come quella francese: i pendolari non votano, perché il Comune di Parigi è molto piccolo, 105 chilometri quadrati di superficie per 2,3 milioni di abitanti, contro i 608 chilometri quadrati di superficie per 3,1 milioni di abitanti di Madrid, i 1.283 chilometri quadrati di superficie per 2,8 milioni di abitanti di Roma. Per non parlare del fatto che meno della metà dei parigini possiede un’auto e, anzi, vive l’invasione del traffico come una seccatura.
Il bilancio di Anne Hidalgo è giudicato da alcuni fallimentare anche per la sua incapacità di porre un freno all’aumento dei prezzi delle case anche a causa dell’esplosione di Airbnb (una delle maggiori e più innovative forme di prenotazione alloggi on-line), un fenomeno per la verità comune a tutte le città turistiche del mondo. Gli appartamenti disponibili sulla piattaforma sono circa 65mila (secondo i dati dichiarati dall’azienda nel 2020), e in teoria non è possibile affittarli per più di 120 giorni all’anno.
In pratica, le regole sono poco rispettate, e da anni il Comune conduce una battaglia legale, senza tuttavia riuscire a controllare tutte le locazioni contrarie alla legge e a punire i trasgressori. Il risultato è che la capitale manca cronicamente di alloggi per chi intende trasferirsi e i prezzi degli affitti sono in continuo aumento: un appartamento di una sola stanza di circa 25 metri quadri può essere affittato a più di 900 euro al mese anche nei quartieri meno centrali della capitale.
Anne Hidalgo esce dunque molto rafforzata da questa tornata elettorale, soprattutto per alcune coincidenze fortunate: nel 2024 Parigi ospiterà i Giochi olimpici, e nei prossimi anni (la fine è prevista nel 2030), il Grand Paris Express, la nuova metropolitana che collegherà tutte le periferie della capitale, entrerà in funzione. Si tratta di quattro linee di metropolitana che si estenderanno per 200 chilometri e 60 nuove stazioni. Un progetto da più di 20 miliardi di euro che cambierà radicalmente il volto della città.
Ogni area metropolitana ha una sua storia, ho riportato in modo forse troppo esteso la esperienza parigina perché, fra soli tre anni, questa realtà urbana, per le Olimpiadi, sarà la prima a modificare le categorie classiche di città e, quindi, in modo epidemico, trasmetterà ad altri ambienti questo nuovo modo di vivere l’urbano. Un contagio verso situazioni con dimensioni vaste e complesse.
(*) Tratto dalle Stanze di Ercole
Aggiornato il 27 agosto 2021 alle ore 10:04