Dopo ben nove anni la Corte Suprema indiana ha deciso di chiudere i procedimenti giudiziari in India a carico di Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, i due Marò che nel 2012, impegnati in una missione antipirateria a bordo della nave commerciale italiana Enrica Lexie, a largo delle coste del Kerala, temendo un attacco di pirateria, spararono alcuni colpi che uccisero due pescatori Ajeesh Pink e Valentine Jelastine che si trovavano sul loro peschereccio. Dopo anni di polarizzazione del dibattito sul caso nell’opinione pubblica, di strumentalizzazioni ed opacità politiche, e solo in seguito all’avvenuto deposito del risarcimento pattuito alle famiglie delle vittime, la Corte Suprema dell’India ha dunque messo la parola fine ad una tra le vicende più travagliate e discusse nel nostro paese e a livello internazionale. Una chiusura di vertenza che soltanto agli occhi dell’attuale ministro degli Affari esteri Luigi Di Maio suona come un lieto fine senza ombre, affidato come sempre nei casi spinosi internazionali al lento lavoro della diplomazia. Ma che è stato segnato ed è tuttora da verità nascoste e dal vincolo del segreto ed il divieto di partecipazione a qualsiasi manifestazione pubblica.
Con orgoglio perciò riproponiamo ai lettori de L’Opinione le registrazioni realizzate da Radio Radicale, di alcuni interventi del primo contro-processo, dedicato proprio al caso Marò ed organizzato nell’ottobre del 2014 dal “Tribunale Dreyfus”, l’associazione fondata e presieduta da Arturo Diaconale e di cui ero direttrice, con l’obiettivo di promuovere, spesso attraverso lo strumento della provocazione con sentenze di valenza politica e simbolica, iniziative di sensibilizzazione in difesa dei cittadini dai casi di malagiustizia e denunciare il progressivo sfilacciamento della cultura del diritto in Italia.
Ebbene, quella sul caso Marò che in quel periodo erano detenuti in India, fu la prima “udienza” con cui il Tribunale Dreyfus aprì i battenti, nel Tempio di Adriano a piazza di Pietra, allora sede della Camera di Commercio di Roma. In quell’occasione furono molte le voci chiamate a testimoniare la “paludosa”, quasi disinteressata e a dir poco contraddittoria linea politica italiana che sembrava aver rinunciato in partenza alla difesa di due italiani finiti nella morsa di un sistema giudiziario lontano e pericoloso. Gli scomposti tentativi di trattare sottobanco non soltanto con le autorità dell’India, ma anche con esponenti dei loro livelli intermediari, contribuì ad un irragionevole protrarsi del regime detentivo dei due Marò le cui sorti agli occhi degli italiani si allontanavano in un’ingiustificabile dissolvenza. Come ebbe a dichiarare l’allora vicepresidente vicario del Parlamento europeo, Antonio Tajani, che sensibilizzò anche il presidente della Commissione europea, José Barroso, il Governo italiano, allora guidato dal premier Mario Monti, non chiese, sulla vicenda, l’intervento dell’Unione europea. Ripubblichiamo per primo l’intervento dell’ex ministro degli Affari esteri Giulio Terzi di Sant’Agata, che sembra sia stato l’unico a sconsigliare al premier Monti di far rientrare in India i due marò, rimpatriati in Italia brevemente.
Un consiglio inascoltato dall’allora presidente del Consiglio, proprio mentre in India per i due Marò si ipotizzava la pena di morte secondo quanto previsto dall’applicazione della “Sua Act”.
Aggiornato il 16 giugno 2021 alle ore 17:03