Rischio ragionato o ragion di Stato?

Come è stato correttamente rilevato da più parti, “rischio ragionato” – concetto adottato da Mario Draghi per le riaperture di questi giorni – è un’espressione meramente politica e non è sinonimo del rischio calcolato degli specialisti di pianificazione, nonostante l’insistenza da parte dei giornalisti meno accurati nell’identificare disinvoltamente i due termini.

Il fatto è che le riaperture rispondono effettivamente ad una esigenza politica assai diffusa e sostenuta, ormai, da tutti i partiti politici, ma che, in riferimento alla pandemia, non ha alcuna giustificazione razionale. Lo schema logico che si sta seguendo, particolarmente in Italia, è in effetti troppo semplice per non dire semplicistico: i dati epidemiologici stanno mostrando una sia pur lenta discesa del fenomeno? Bene, allora, sia pure gradatamente, riapriamo. Una logica decisamente ingannevole che, per questo, è accuratamente evitata, per nostra fortuna, in mille circostanze analoghe a quella di cui stiamo parlando. Supponiamo, per fare un solo esempio, che una frana abbia invaso la carreggiata di una strada bloccandone il traffico. Se, dopo che i manutentori stradali l’avranno liberata, si riattivasse il traffico senza assicurarsi che il resto della frana non stia ancora muovendosi minacciosamente sopra la strada, si genererebbe ovviamente una situazione ad alto rischio per chi vi transitasse.

La discesa dei tassi statistici dell’epidemia è dovuta, oltre che, sia pure ancora in misura modesta, al numero crescente di vaccinati, alle chiusure alle quali siamo stati sottoposti con conseguente drastica riduzione delle relazioni interpersonali. Quindi, in considerazione del fatto che il virus è ancora massicciamente all’opera, la misura più razionale sarebbe quella di estendere la strategia della chiusura fino a quando la quantità di virus circolante non fosse davvero ridotta ai minimi termini e dunque resa, se non irrilevante, almeno facilmente controllabile. Il tutto in attesa di dargli il colpo di grazia con il raggiungimento, grazie al vaccino, della immunità di gregge. In cibernetica si chiama feedback positivo: se una certa azione migliora la situazione che ci interessa, allora è conveniente incrementare quell’azione fino a quando non si raggiunga la desiderata situazione ottimale, intesa, come sanno bene i medici, non solo come scomparsa dei sintomi, ma della causa sottostante. Nel caso del virus con cui abbiamo a che fare, la causa è invece ancora fortemente presente e attiva. Fatto che, se trascurato, può farci ripiombare nella situazione epidemica peggiore sotto tutti i profili, anche quelli che, con le riaperture, desideravamo salvaguardare e rinvigorire.

Se le cose stanno così, allora non possiamo che arrenderci all’evidenza: per ragioni di carattere politico, derivanti da altre di ordine economico e sociale ma anche, alla fine, elettorale, l’Italia ha deciso che la più volte proclamata convivenza col virus d’ora in poi assumerà il carattere di una sorta di resa ragionata: riprendiamo a vivere come facevamo prima della pandemia, cercando di mitigare l’assalto continuo del virus con mascherine, qualche sacrificio residuo sulle nostre abitudini e, soprattutto, con il vaccino. Così facendo, ci esporremo al fuoco instancabile del nemico, consentendogli di vincere ancora molte battaglie, contando però di resistere il tempo necessario per vincere la guerra.

In fondo, si tratta di una decisione che, più che una ragione pensata e fondata su chissà quali riflessioni, nasconde una specie della più classica ragion di Stato: rischiamo tutti quanti assieme whatever it takes, cioè sapendo bene che, nelle prossime settimane, verosimilmente vi sarà una ripresa della diffusione virale, dei ricoveri e dei decessi, sperando che tutto si concluda al più presto e definitivamente. Un duro realismo, già condannato un anno fa, quando era teorizzato da altri in varie parti del mondo, ma che ora si impone anche da noi non per la sua razionalità scientifica e meno che meno etica, ma solo perché, in democrazia, non è possibile resistere a lungo alle richieste, dolenti e insieme minacciose, di una grande e poco silenziosa maggioranza.

Nel caso che il prezzo umano da pagare si rivelasse notevole, sarà però interessante constatare se e chi, invece di scagliarsi contro gli errori di questo o quello, accetterà il principio secondo il quale chi è causa del suo mal, pianga se stesso.

Aggiornato il 11 maggio 2021 alle ore 09:22