Ambiguità “corrette”

Sarebbe quasi inutile sottolinearlo, ma vale comunque la pena di osservare come l’aggettivo “liberale” stia entrando di peso nel linguaggio politico. Sempre più uomini politici, persino ex comunisti e partiti, si autodefiniscono liberal-democratici o liberal-socialisti e, ora, al gruppo si unisce baldanzosamente il Movimento 5 Stelle, dichiarandosi liberal-moderato.

L’aggettivo in questione è dunque il denominatore comune. Ma cosa si intenda, da parte di chi ne fa uso quotidiano, rimane un totale mistero. Il sospetto è che il riferimento di un simile impiego linguistico non sia per nulla ideale, anche perché non si legge né si ode spesso citare Benedetto Croce o Luigi Einaudi, John Locke, Friedrich von Hayek o magari Carl Menger (opportunamente ricordato qui nel centenario della morte) mentre sa molto di politicamente corretto. Ma allora, perché mai l’aggettivo “liberale” è divenuto così importante da rendersi sempre più obbligato nel linguaggio politico?

Credo sia da escludere una diffusa e crescente conversione verso un sistema ideale che, in Italia, dopo la Seconda guerra mondiale non ha mai avuto particolare successo elettorale, nonostante il suo glorioso passato. È più probabile, semmai, che adottare l’aggettivo di cui stiamo parlando costituisca un mero gesto istintivo per introdurre, nelle formule viste sopra, ciò che vien dopo: si tratti di democrazia, socialismo o moderazione. In sostanza, una foglia di fico per nascondere o rendere accettabili programmi politici che puntano verso obiettivi, come l’azionismo, lo statalismo o il giustizialismo, i quali col liberalismo hanno ben poco a che fare. Tattica, dunque, ma non strategia perché azionisti, socialisti o grillini non hanno in alcun modo l’obiettivo di fare dell’Italia una società genuinamente liberale, fondata sulla libertà e la responsabilità individuali.

Il riferimento a questa immagine lessicale serve loro, unicamente, come generica allusione a valori e principi che diano rassicurazione all’elettorato, borghese o meno, a fronte di possibili superamenti della demarcazione fra Stato di diritto e Stato dirigistico, fra libertà di pensiero e di espressione e omologazione in qualche pensiero unico. Croce pubblicò l’articolo “Perché non possiamo non dirci cristiani” mentre ora pare che tutti sembrino ritenere che “non possiamo non dirci liberali”. Dovremmo però riflettere attentamente perché, come scrisse Croce, “… più volte l’adozione di quel nome è servita all’autocompiacenza e a coprire cose assai diverse dallo spirito cristiano”.

Aggiornato il 03 marzo 2021 alle ore 09:58