Vendita navi all’Egitto, c’è poco da fare gli schizzinosi in questo momento

In questi giorni la notizia della trattativa con l’Egitto per la vendita di due fregate italiane della classe Fremm ha generato un acceso dibattito politico sull’opportunità di trattare con un Paese che ancora non ha chiarito le circostanze in cui è morto il povero Giulio Regeni.

Dopo l’assassinio del giovane ricercatore trovato ucciso e torturato il 3 febbraio 2016 e il conseguente atteggiamento elusivo delle autorità egiziane, le tensioni tra Roma e Il Cairo si sono deteriorate sino alla decisione della Farnesina di ritirare il nostro ambasciatore e di interrompere i rapporti commerciali tra i due Paesi.

A settembre 2017 il ritorno al Cairo dell’ambasciatore italiano è stato salutato con entusiasmo dai quotidiani egiziani convinti che la mossa avesse segnato la fine della crisi del caso Regeni. Anche i rapporti economici hanno ripreso la loro tradizionale vivacità in considerazione che verso l’Egitto la bilancia commerciale segna diversi miliardi a favore dell’export italiano.

D’altronde anche i nostri vicini francesi hanno avuto un caso analogo al nostro quando alcuni anni fa Eric Lang, professore francese esponente di un’organizzazione di diritti umani, fu torturato e ucciso in un commissariato di polizia del Cairo. Emmanuel Macron ha però recentemente affermato che i Paesi non possono inserirsi più di tanto nella sovranità di altri Paesi e mai si è sognato di sospendere la vendita all’Egitto dei suoi velivoli Rafale. Ai francesi perplessi ha sottolineato l’importanza di preservare la stabilità e il ruolo dell’Egitto come potenza regionale in un equilibrio geopolitico complesso.

I sentimenti familiari sono una cosa – e i genitori di Regeni che ancora chiedono giustizia per il figlio sono gli unici titolati a parlare – le relazioni diplomatiche e commerciali sono un’altra e rispondono a criteri di realpolitik che a volte può apparire cinica ma vitale per far andare avanti un Paese.

In moltissimi Paesi vi sono casi di cittadini italiani arrestati o incarcerati senza le garanzie minime, ma non per questo si sono rotte le relazioni con mezzo mondo. Oltre alle vicende più note dei marò in India o di Chicco Forti negli Stati Uniti, purtroppo esistono detenuti in celle fatiscenti nell’infinita attesa di un processo nelle più svariate aree del mondo.

Quello che più sconcerta, però, è un altro punto. È lo stupore di molti parlamentari, a partire da quel Erasmo Palazzotto, presidente della Commissione d’inchiesta sul caso Regeni, per le transazioni nel campo degli armamenti con l’Egitto. Vogliono audire in merito il Presidente del Consiglio senza sapere probabilmente che proprio una relazione elaborata dagli uffici della Presidenza deve essere approvata annualmente dal Parlamento.

Trattasi del “Rapporto del Presidente del Consiglio dei ministri sui lineamenti di politica del Governo in materia di esportazione, importazione e transito dei materiali d’armamento” previsto dalla legge 185 del 1990 per specificare nel dettaglio tutte le operazioni nel settore compiute dal nostro Paese. Va presentato in Parlamento entro il 31 marzo di ogni anno e se i sorpresi parlamentari fossero stati presenti o l’avessero letto sarebbero venuti a conoscenza sia dei Paesi oggetto delle transazioni in esame, tra cui l’Egitto, sia dell’entità delle transizioni stesse.

L’industria degli armamenti è un settore trainante dell’economia italiana. Solo Leonardo e Fincantieri hanno fatturati di decine di miliardi e con l’indotto garantiscono il lavoro a più di centomila persone. Vendono materiali d’armamento e navi da guerra. I più schizzinosi possono anche indignarsi e proporre di sopprimere tali produzioni. Tanto è un momento di economia fiorente che ce lo possiamo permettere!

Aggiornato il 11 giugno 2020 alle ore 12:11