Che Pier Luigi Bersani dica “col centrodestra non sarebbero bastati i cimiteri” non sorprende perché non va dimenticato che la storia del Pci-Pds-Ds-Pd viene da Palmiro Togliatti, parliamo dunque dei suoi eredi, i figliocci di un politico che prima di tornare, è stato il braccio destro e sinistro di Stalin. Insomma, parliamo di chi ha condiviso la politica di uno dei più feroci dittatori della storia, milioni di persone morte ammazzate, incarcerate nei gulag, lasciate marcire senza pietà nel gelo siberiano, perché pensavano diversamente e volevano libertà e democrazia. Ecco perché non sorprende che gli eredi politici di quel partito che per decenni dall’Italia ha fatto sponda al totalitarismo sovietico, applaudendo ai carri armati d’Ungheria, e in buona parte a quelli di Praga, abbiano un’idea dell’alternanza, dell’alterità politica e di pensiero pari a zero. Sorprende invece che si creda e si sia creduto all’emancipazione ideologica del Pci-Pds-Ds-Pd, si pensi che il loro camuffarsi nel tempo con nuovi nomi e simboli ne abbia mutata la matrice, l’approccio all’idea che senza alternanza la democrazia non c’è, senza il rispetto ad un pensiero diverso e opposto la libertà si ferma oppure muore.
Insomma, per quanti maquillage gli eredi di Togliatti abbiano fatto, per quanto abbiano cercato di passare dal Patto di Varsavia alla Nato, abbiano inscenato strappi con l’unione sovietica, abbiano tentato di sposare il kennedysmo e fuso il partito con l’ipocrisia clericale, sempre da lì provengono. Come da lì provenivano, miliardi di lire per sostegno e propaganda almeno fino agli anni Ottanta, collegamenti di intelligence molto opachi, stage di studio alle scuole sovietiche, e così via, per questo fare finta che il Pd abbia una radice liberale, sia mutato cambiando genesi e cromosomi assieme ai simboli e ai nomi, è un errore grossolano. Anzi a dirla tutta da quando si è fatta la fusione a freddo con pezzi della dc di sinistra, il cattocomunismo si è realizzato in pieno, portando a galla quel patto che in fondo c’era sin dalla stesura della costituzione nella quale gli accordi tra Giuseppe Dossetti e Togliatti divennero articoli scritti. Ecco perché in Italia la cultura liberale, quella di un pluralismo voluto e rispettato, dell’alternanza come sale del pensiero elettorale, c’è stata in forma piuttosto che in sostanza, tanto è vero che da quando Silvio Berlusconi ha vinto e governato, il pericolo fascista, della destra di squadracce, della democrazia azzoppata e a rischio è tornato a galla tutti i giorni, alla faccia.
È anche la ragione per la quale contro il Cavaliere e i suoi governi si sono scatenati tutti gli armamentari per farlo fuori, impedirgli di cambiare il Paese, di fare le riforme dentro una carta che per quanto alta sempre cattocomunista era, insomma di realizzare la rivoluzione liberale, dopodiché va detto che Silvio abbia fatto errori così grossi da sfiorare i paradossi, ma tant’è. E piano piano siamo arrivati a Mario Monti, l’ultima defenestrazione del centrodestra al governo, la peggiore, messa in atto col supporto del soccorso rosso internazionale che fece dello spread l’arma letale, e da allora gli eredi di Togliatti direttamente e indirettamente sono tornati a governare senza passare per una tornata elettorale che gli assegnasse fiducia e maggioranza certa, infatti siamo precipitati al fondo. È stato un escamotage per lasciare l’Italia tale e quale, vittima del socialismo reale statale, dell’assistenzialismo politico e sindacale, di una architettura istituzionale costosa e dannosa, di una burocrazia creata ad hoc per mantenere posti e potere, di una amministrazione pubblica spropositata generata sia per bloccare ogni cambiamento, sia per alimentare il bacino elettorale, sia per impedire uno sviluppo liberale dell’economia e della democrazia industriale. Per questo siamo rimasti dove eravamo, cresciuti meno di tutti, ci siamo indebitati fino all’ossesso, continuato a statalizzare a più non posso, a pagare ciò che non serviva, a scoraggiare la crescita e l’intrapresa con un fisco che ha fatto della ricchezza prodotta e del patrimonio, strame anziché leva di stimolo e supporto alla creazione di lavoro, sviluppo, infrastrutture e libertà d’impresa.
Senza la rivoluzione liberale siamo rimasti un Paese che costa troppo e funziona male, caricati di spese di uno Stato pachiderma infilato ovunque che per pagare se stesso ha bisogno di spellare il segmento produttivo fino all’osso, uno Stato che come ha fatto adesso, nel mentre di una crisi senza precedenti per garantirsi costi e stipendi ha scaricato, trascurato e offerto solo un contentino a chi è stato chiuso, non ha fatturato e non ha visto e non vede né il lavoro, né il sostegno né la luce del mattino. Ecco perché in conclusione la barzelletta del Governo sulla necessità di un nuovo patto fra Stato e impresa, fra politica e società, non può avvenire senza un voto, un giudizio positivo e popolare verso un programma chiaro, una maggioranza ottenuta dalle urne che assegni il diritto dovere a governare e indirizzare il Paese verso il futuro. Questo Governo e questa maggioranza non solo non hanno nemmeno l’ombra di tutto ciò e prima di unirsi si offendevano, sono andati a palazzo con l’andazzo opportunista e ipocrita ma sono eredi, fra grillini e Pci-Pds-Ds-Pd di una sinistra che la storia ha condannato, bocciato e sconfitto tanto sulla democrazia quanto drammaticamente di più sull’economia. Servono libere elezioni piuttosto che fasulle collaborazioni con le opposizioni, serve un patto col Paese che nasca dal voto e non dalla finzione per mantenere le poltrone, serve un plebiscito popolare che offra all’Italia un futuro di trasformazione da Repubblica statale a finalmente liberale.
Aggiornato il 05 giugno 2020 alle ore 16:13