
Non ci sono molti commenti da aggiungere sulla vicenda del rapimento di Silvia Romano. Su un paio cose si spera però che tutti siano d’accordo. La penosa scena del comitato dei vertici dello Stato a ricevere la ragazza a Ciampino poteva essere evitata soprattutto per arginare l’ondata di invettive nei confronti della poveretta. Il possibile pagamento di un riscatto, poi, si auspica sia frutto di pura fantasia. Parrebbe inimmaginabile che lo Stato italiano possa aver pagato una somma che oscilla, secondo le chiacchiere, dai 4 ai 40 milioni. Quello Stato che aveva rifiutato di trattare con i terroristi nostrani per la liberazione di Aldo Moro con la fermezza non salvò lo statista ma sconfisse il terrorismo. Lo stesso Stato, apprezzato in tutto il mondo per i successi del tempo, non si può credere che sia sceso a patti con gli islamici di Al-Shabaab. Sarebbe più credibile un qualcosa di più fantasioso del tipo: in Somalia non si mette piede senza la collaborazione dei servizi turchi e tramite il loro aiuto e la loro visibilità non solo si libera la ragazza ma si riappatta la partita a Tripoli con Fayez al-Sarraj, fedele di Recep Erdoğan e molto arrabbiato con gli italiani.
Così andrebbe meglio ma, ripetiamo, è un puro gioco di fantasia che comunque ci solleverebbe dal tormento che alla Romano si sia adottato un trattamento più vantaggioso di quello riservato a Moro. I tempi però cambiano e gli statisti pure. Il buon esito dell’operazione non deve tuttavia far distogliere l’attenzione su un altro punto focale che riguarda l’idoneità delle organizzazioni non governative (Ong) a svolgere progetti all’estero. L’Africa Milele, quella cui apparteneva Silvia Romano, con sede a Calcineto Catracane (Pu), risulta avere un bilancio molto risicato ove tra le spese sostenute nell’ultimo esercizio spicca la somma di 159 euro per la voce assicurazioni. Diretta da una signora innamorata dell’Africa e degli africani forse non dispone di personale sufficientemente adeguato ad organizzare un progetto (quale?) affidato ad una ragazzina da sola in un posto rischiosissimo, lontano da Malindi e quasi ai confini con la Somalia. Per analisi del rischio molto meno raffazzonate e obbligatorie per legge fior fiore di aziende italiane che operano in Paesi disagiati sono state condannate.
Una legge del 2014 ha cercato di riorganizzare il settore e ha disposto che le Ong riconosciute idonee da una Commissione istituita dal ministero degli Esteri confluiscano in un elenco tenuto dall’Agenzia per la Cooperazione e lo Sviluppo facilmente consultabile. Sono quelle che usufruiscono dei finanziamenti previsti ogni anno dalla legge di bilancio negli stessi capitoli delle missioni militari all’estero. Durante la discussione del disegno di legge in questione era comparso un provvido emendamento che prevedeva l’obbligo di capienti assicurazioni per quelle organizzazioni che inviavano dipendenti in zone a rischio. L’emendamento non passò in quanto si disse che avrebbe penalizzato le associazioni più deboli affievolendo così i fini umanitari alla base di ciascuna di esse.
La disposizione non avrebbe comunque riguardato l’Africa Milele in quanto non censita nel suddetto elenco. L’intricata vicenda dovrebbe, pertanto, far rimettere mano alla normativa e ispirare un paio di articoletti integrativi della legge in vigore. Uno per obbligare le Ong a dotarsi di assicurazione idonea a coprire tutte le spese da sostenere per l’eventuale liberazione di personale dipendente sequestrato. L’altro per vietare esposizioni mediatiche e riprese televisive all’arrivo delle persone liberate. Si eviterebbero le incresciose – e fastidiose – figuracce cui abbiamo assistito in questi giorni e soprattutto gravosi esborsi di denaro a carico dello Stato per far operare mesi e mesi eccellenti squadre dei nostri Servizi all’estero. Non sarebbe difficile, basta copiare quello che fanno da molto tempo gran parte dei Paesi anglosassoni!
Aggiornato il 13 maggio 2020 alle ore 11:04