Governo da una parte, Paese dall’altra

Col crollo dei grillini oramai prossimi alla cifra unica nei consensi, il distacco fra il governo giallorosso e il sentimento popolare è diventato un abisso tanto profondo che nemmeno il colle può trascurare. Del resto dai sondaggi che girano la differenza fra centrodestra e centrosinistra supera i 10 punti che, in soldoni e con le cautele legate alla statistica, significa una marea di cittadini, insomma milioni di persone. Oltretutto se a queste aggiungessimo la percentuale di astensionismo, che in quanto tale non è almeno per adesso favorevole alla maggioranza di governo, arriveremmo ad una quantità di gente contraria ai giallorossi da pelle d’oca.

Ma se questo non bastasse c’è l’aggravante costituzionalmente non ininfluente di un esecutivo sostenuto da un’alleanza che, anziché compatta e coerente, è divisa, in lotta fratricida e vittima di scissioni più o meno conclamate. Qui non si tratta solo dell’atmosfera nei grillini che in ritirata si combattono in cerca di un elisir che li tenga in vita, si tratta di Matteo Renzi in perenne conflitto con gli alleati, del Pd che seppure in leggera risalita resta esposto alle contraddizioni interne, si tratta di Giuseppe Conte.

Il premier infatti non soffre solo della debolezza per la mancanza di un partito, ma del caos dentro i cinquestelle che lo hanno indicato, della opposizione di Italia viva e di un evidente malcontento trasversale a tutta l’alleanza in generale. Tanto è vero che Conte pattina e sbanda su ogni tema quotidiano, dalla battaglia della prescrizione a quella sulle concessioni, dai tavoli di crisi aziendali alla revisione dei provvedimenti precedenti con i gialloverdi.

Per non parlare della politica internazionale e di quella con la Ue, dove al di là dell’apparente condivisione, dietro il sipario la maggioranza è tutt’altro che coesa, sui porti, sulla Cina, sulla Russia, sulla crisi libica e su Donald Trump oggi più forte che mai dopo il successo sull’impeachment. Eppure l’Italia vive un passaggio tanto delicato quanto rischioso, uno di quelli che raramente nella storia si è presentato per l’economia, l’occupazione, la Brexit, i dazi, il Medioriente, gli sbarchi in ripresa, l’export in discesa, la recessione e da ultimo il coronavirus, purtroppo.

Tutto ciò con alle spalle una finanziaria che già manifesta limiti e ipocrisie contabili, non solo sulla storia ridicola dell’Iva da sterilizzare su cui è inutile tornare, ma sulle previsioni sballate del Pil, la mancanza di risorse per la modifica dell’Irpef, l’aumento delle tasse che bloccherà i consumi. Insomma quella che Conte con dichiarazioni trionfali, tipo l’anno bellissimo, aveva spacciato per manovra espansiva, equità sociale, rilancio degli investimenti, abbassamento delle tasse e semplificazione, si sta annunciando esattamente al contrario.

Tanto è vero che il malumore per l’inasprimento dei vincoli, delle complicazioni contabili, dei balzelli e delle tasse locali, della disparità di trattamento, dell’assenza di ogni stimolo all’impresa, è in crescita costante nel Paese, dal nord al sud. Per farla breve anziché il Pil che decresce, quello che sale è il timore, il malcontento e il disappunto per una politica assistenziale, persecutoria fiscalmente, restrittiva su tutto tranne che per la spesa improduttiva.

Ecco perché scriviamo il governo da una parte e il paese dall’altra, ecco perché ci chiediamo come sia possibile non capire quanto questo governo non abbia né le capacità, né le possibilità, né le condizioni per guidare l’Italia in un passaggio così delicato da richiedere peculiarità opposte. Si tratta di una scelta incomprensibile anche di fronte al più spericolato opportunismo politico, perché rischia di gettare il paese in un cul de sac costoso e devastante, restare aggrappati ad una maggioranza apparente, rissosa, malfidata, è un pegno che gli italiani non meritano di pagare.

Aggiornato il 06 febbraio 2020 alle ore 14:26