
Sono ormai lontani i tempi in cui i liberali italiani si opponevano all’istituzione delle Regioni, avvenuta nel 1970, e ancora di più dalle oscillazioni dei primi governi dopo l’unità, dal progetto di Marco Minghetti all’abbandono da parte di Bettino Ricasoli.
Sta di fatto che, ormai da 50 anni, le Regioni come enti amministrativi sono una realtà. Ma, inutile dirlo, sono, da un lato, una realtà ‘all’italiana’ e, dall’altro, una realtà politica in cui le ombre si mescolano con le luci. Qualche forma di decentramento era ovviamente necessaria, magari inducendo le Province ad istituire collegamenti, sicuramente meno costosi, dedicati a problematiche specifiche dei numerosi territori italiani.
Anche a questo proposito il confronto con altri Stati è a dir poco scoraggiante se si pensa che la Francia continentale dopo averne eliminate 5 nel 2014, ha 13 Regioni con 68 milioni di abitanti, la Germania 16 con una popolazione di 82 milioni e l’Italia 20 con 60 milioni di abitanti.
L’istituzione delle Regioni, ad ogni modo, si è concretizzata fin dall’inizio con il carattere di mini-parlamenti e di mini-governi nei quali la politica quotidiana ha finito per presentarsi fortemente determinata dalle ideologie e dagli interessi delle categorie legate ai partiti.
Il risultato, dopo mezzo secolo, è che, secondo un’indagine Demos del 2009, solo il13,1% di un campione di italiani “sente di appartenere ad una regione” a fronte di un 27.7% che, invece, si sente maggiormente legato all’Italia e un 16.3 che privilegia il legame con la propria città.
In effetti, siamo sinceri, chi avverte l’azione della propria Regione nella vita di tutti i giorni? La presenza dello Stato da una parte e del Comune dall’altra si avverte in mille modi, brutti o belli che siano, ma chi e per quale ordine di cose avverte la presenza della Regione se non coloro che riescono a trarre beneficio dal rigagnolo di piccoli finanziamenti di tipo assistenziale, scolastico o dei trasporti, e poco di più, che ogni Regione amministra con oculata attenzione al consenso elettorale che può derivarne? Si dirà che anche a livello statale e comunale le cose stanno purtroppo così, ma, proprio per questo, l’urgenza di istituire queste Regioni non pareva decisamente elevata.
Il fatto è che l’inconcludente contesa con lo Stato in tema di competenze, esclusive e concorrenti, le ha per ora fissate in modo tale che oltre il 60% delle risorse trasferite da Roma sia assorbito dalla sanità, vero paradiso di interessi politici incrociati, mentre solo il 10% scarso è riservato allo ‘sviluppo economico’, cioè esattamente quanto viene destinato alle spese correnti dette ‘attività istituzionali’.
Pomposamente definiti ‘Governatori’ i Presidenti regionali sono in buona sostanza semplici amministratori di fondi statali per finalità assistenziali o di sostegno. In Emilia Romagna, per esempio, il piano di bilancio previsionale 2020-22 include uno stanziamento di 1,44 miliardi di Euro per investimenti in “…sanità, lavoro e mondo produttivo, mobilità sostenibile, ambiente e territorio, infrastrutture, big data e digitale, cultura, sport, scuola e giovani” e chi più ne ha più ne metta, ma, si badi bene, in 3 anni. Il tutto, accanto ad una spesa sanitaria corrente di ben 8,4 miliardi. Cosa significhi, a questo punto, affermare, come è accaduto nella recente campagna elettorale, che Stefano Bonaccini è stato un ottimo ‘Governatore’ e ha dato lezioni a tutti in fatto di ‘buon Governo’ è francamente incomprensibile. A meno di intendere che, accanto ad una onesta e ovvia amministrazione dei fondi, il benessere dell’Emilia Romagna sia dovuto all’azione della Regione, ossia agli effetti benefici di alcune centinaia di milioni su un economia che genera oltre 160 miliardi di Pil grazie all’iniziativa privata e alla sua efficienza sia in ambito industriale sia in quello terziario. D’altra parte, lo stesso vale per la Lombardia, dove la ‘sacra’ tradizione rossa non c’è ma il Pil è ottimo comunque. Sempre su un piano comparativo, sarà solo il caso di ricordare come la California, con 40 milioni di abitanti e un Pil elevatissimo, è amministrata come Stato e il secondo livello è costituito da 58 contee, organi a metà strada fra i nostri Comuni e Province.
In definitiva, l’istituzione delle Regioni, come il generoso allargamento del numero delle Province, ha sicuramente risolto il problema della sussistenza per migliaia di persone in cerca di lavoro e assunte da questi enti, ma che le Regioni stiano rafforzando l’efficienza e l’efficacia complessive della società italiana è quantomeno assai dubbio mentre i loro costi sono l’unico dato certo.
Aggiornato il 30 gennaio 2020 alle ore 13:11