
L’hanno voluto definire un esperimento ma tanto i Cinque stelle quanto il Pd sanno evidentemente ben poco circa la natura di un tale procedimento. Essi si danno un gran da fare nel costituire ‘laboratori’ ma, anche lì, si muovono su un terreno molto lontano dalle loro conoscenze. Di fatto, se proprio dobbiamo adottare il termine in questione, le elezioni in Umbria sono state un esperimento in vivo mentre i due partiti di cui sopra, al più, avevano semplicemente effettuato un esperimento in vitro sebbene non vi siano tracce delle loro elucubrazioni. Più ancora sarebbe forse adeguato il concetto di Gedankenexperiment, ossia un esperimento meramente immaginato e quindi senza misure di alcun tipo mentre poi, la realtà, ne ha fornite in abbondanza di indole contraria. In sostanza è stata elaborata un’ipotesi alla quale si sono votati anima e corpo e del tutto incuranti di ciò che chiunque, senza alcun bisogno di scomodare la politologia, sapeva fin dall’inizio, cioè la totale incompatibilità delle pulsioni e dei moti d’animo della maggioranza degli elettori medi sia del movimento Cinque stelle sia del Pd.
L’ipotesi secondo la quale la somma dei voti dei due partiti avrebbe potuto riservare sorprese positive o, quantomeno, mitigare la sconfitta, è uscita a pezzi dalle urne, ma era già svuotata di ogni plausibilità sul piano, diciamo così, teorico. Intendiamoci: quando un’ipotesi possiede a priori una bassa probabilità non è per ciò stesso da scartare perché, se venisse verificata, apporterebbe ovviamente un grande contributo alla conoscenza. Ciò è dovuto al fatto che, essendo improbabile, la sua verifica sconvolgerebbe e rinnoverebbe le conoscenze acquisite sulla base delle quali essa era stata valutata, appunto, come insostenibile. Nel mondo accademico e in generale della scienza è bene che la libera moltiplicazione delle sedi in cui si fa ricerca, su argomenti rilevanti e ancora poco decifrati, metta al lavoro ipotesi fra loro molto diverse, alcune abbastanza certe fin dall’inizio e altre incerte o persino decisamente devianti rispetto al sapere consolidato.
Quando un’ipotesi è giudicata poco probabile con argomentazioni ben fondate, chi la difende, se trova finanziamenti, fa bene comunque a condurre la ricerca sula sua base, esperimento incluso. Il contributo di una ricerca fatta sulla base di un’ipotesi che si rivela infondata consiste infatti nel suggerire, per esempio, che le cause di un certo fenomeno non si trovano nell’ambito dei fenomeni ai quali l’ipotesi faceva riferimento. E questo è già qualcosa di utile. Tuttavia, se l’autore dell’ipotesi gode di una reputazione già traballante per i risultati poco lusinghieri della sua attività passata e, per giunta, fallisce anche in quest’ultima impresa, poco probabile e magari costosa, corre il rischio di vedere chiudersi la propria già modesta carriera scientifica.
L’analogia con l’avventata e decisamente superficiale strategia ‘sperimentale’ di questi giorni non è affatto casuale ma la conclusione può essere assai diversa. La comunità degli uomini politici assomiglia ben poco alla comunità degli scienziati e, infatti, c’è già chi fra di loro insiste sull’opportunità di ripetere l’esperimento cercando di ‘migliorarlo’. Il che vuol dire negando spavaldamente la realtà già sperimentata o, in altre parole, rifiutando la massima secondo cui errare è umano ma perseverare nell’errore è diabolico.
Aggiornato il 30 ottobre 2019 alle ore 12:59