In Italia tra la data di sottoscrizione di un accordo bilaterale che richiede la ratifica parlamentare e la sua entrata in vigore trascorrono mediamente un paio di anni. La legge di autorizzazione alla ratifica segue l’iter di tutte le leggi: prima lettura alla Camera, seconda al Senato, o viceversa, discussione in Commissione poi in Aula, approvazione emendamenti, promulgazione del Presidente della Repubblica.
Discorso a parte per i trattati multilaterali. Qui entrano in gioco più Paesi e più Parlamenti e i tempi si allungano. L’entrata in vigore spesso è legata alla totalità dell’avvenuta ratifica all’interno di ciascun Paese sottoscrittore.
Anche solo per previsioni che regolano la giurisdizione prevalente o autorizzano l’utilizzo di particolari targhe automobilistiche previste in trattati ristretti come quello che ha istituito la Gendarmeria europea (Eurogendfor) con sede a Vicenza ci sono voluti anni dopo la firma dell’accordo.
Un trattato importantissimo che disciplina lo status del personale dell’Unione Europea che opera in un Paese diverso da quello di provenienza (cosiddetto Sofa, status of forces agreement) firmato anni fa e ratificato dall’Italia nel 2009 non è ancora entrato in vigore perchè mancano le ratifiche di Irlanda e Danimarca. Per disciplinare la posizione di un cittadino italiano operante per l’Unione europea che vive a Bruxelles si ricorre ad artifizi o ad accordi bilaterali con il Belgio, così come fanno tutti gli altri Paesi ospiti. Non è così per quelli che lavorano nella stessa città per la Nato dove gli accordi che disciplinano la permanenza del personale sono in vigore da decine di anni.
Quanto sopra per dire che non è facile cambiare le regole, come si sente dire in questi giorni, se tali regole sono disciplinate dalla rete dei numerosi accordi europei.
Teoricamente è più semplice uscire dall’Europa che variare un trattato unilateralmente. La procedura è ben spiegata all’articolo 48 del Trattato dell’Unione europea (Tue). Un governo può proporre al Consiglio una richiesta di revisione volta a cambiare le competenze dell’Unione e tale progetto viene notificato a ciascun Parlamento nazionale. Qualora il Consiglio europeo, previa consultazione del Parlamento europeo e della Commisione, adotti una decisione favorevole all’esame delle modifiche proposte, il Presidente del Consiglio convoca una convenzione composta dai rappresentanti dei Parlamenti nazionali, dei capi di Stato e di Governo degli Stati membri, del parlamento europeo e della Commissione. In caso di modifiche nel settore monetario è consultata anche la Bce.
Se la Convenzione approva la modifica proposta inizia in ciascun Paese la ratifica dell’emendamento al Trattato con le procedure previste dai rispettivi ordinamenti con le tempistiche descritte in premessa.
Già i nostri padri costituenti, in particolare Vittorio Emanuele Orlando preposto alla sezione internazionale, hanno previsto in Costituzione procedure di ratifica degli accordi molto rigide, ma gli architetti dei trattati europei hanno creato dei meccanismi così inflessibili e aggioganti da cui è impossibile sfuggire.
Questa è la fotografia da cui appare evidente che cambiare le regole non è facile.
Aggiornato il 21 giugno 2019 alle ore 12:53