
Salvini sa bene che il governo salterà presto, ecco perché ha già iniziato la sua nuova campagna elettorale. Qui non si tratta solo dei diktat ai grillini, si tratta di temi e di promesse che fanno voti e suggestioni. Sia chiaro, noi siamo sempre stati molto favorevoli alla flat tax, quella vera, ma in un contesto di riforma totale sia del fisco e sia della pubblica amministrazione. Anzi, a dirla tutta, in un contesto di riforma totale anche e soprattutto della giustizia. Fisco, burocrazia e giustizia possono essere il turbo per lo sviluppo economico e sociale di un paese, se organizzati bene, oppure la dannazione, se pasticciati e disarticolati come da noi.
Una flat tax, purché sia infilata in un ginepraio demenziale di apparato pubblico e fiscale, di giustizia inefficiente, di spesa statale fuori controllo, come in Italia, potrebbe rischiare di essere esiziale. Insomma se avesse coraggio, Salvini, dovrebbe annunciare assieme alla flat tax, la decapitazione della burocrazia, la rivoluzione della giustizia, la riscrittura dell’intero capitolo delle tasse. Oltretutto il Vicepremier finge di dimenticare che siamo nel pallone per coprire almeno 30 miliardi di buco, fra clausole dell’iva e spese correnti; aggiungerne altrettanti sarebbe come buttare benzina sul fuoco.
Ecco perché delle due l’una: o Salvini trova la forza di annunciare una volta per tutte che l’iva aumenterà per fare posto alla flat tax, oppure restiamo nella demagogia elettorale e basta. Tra l’altro, va detto che i suoi consiglieri economici sembrano scarsi e incoerenti perché il principio autentico della flat tax si fonda esattamente su questo. Nel senso cioè – al ministro lo spieghiamo noi – di stimolare e favorire la produzione della ricchezza, per colpirla invece allorché si manifesti. Detto in parole povere, spostare la tassazione dalle persone alle cose, dalle imposte dirette a quelle indirette, punto. Il problema è che per fare questa rivoluzione, servano però, sia una semplificazione epocale del fisco, sia un disboscamento generale del nostro ginepraio di contribuzione.
Da noi infatti fra tasse centrali e locali, acconti e contro acconti, addizionali e patrimoniali, bolli e marchette, imposte dirette e indirette, è una vergogna mondiale, da tribunale della civiltà sociale. Inutile dunque girarci attorno, senza le precondizioni fondamentali ovvero la riforma delle tasse, della giustizia e della burocrazia, non c’è promessa che tenga. Del resto noi siamo il paese degli uffici pubblici, dei certificati, delle file, dei fogli bollati, delle domande necessarie a tutto, anche a respirare, ossessionati e perseguitati dai signori del posto fisso, insomma. Per non parlare della giustizia, che per tempi e risultati, sembra studiata apposta per favorire chi sbaglia e chi ha torto, piuttosto di chi è nel giusto e chi ha ragione.
Caro Salvini, promettere a caso è roba da sprovveduti, all’Italia serve una politica coraggiosa che guardi la realtà, gli errori che i cattocomunisti e i sindacati ci hanno scaricati addosso, dal leviatano, alla nullafacenza, allo sperpero della previdenza. Viene infine da chiedersi: perché il Ministro insiste nel promettere restando coi grillini, che gli bloccheranno tutto, quando col centrodestra unito, la promessa diventerebbe un fatto? Masochismo?
Aggiornato il 29 maggio 2019 alle ore 12:21