
Viviamo in un tempo in cui, specie nel mondo occidentale, l’uomo finisce per porsi il problema del proprio senso: “Come faccio io, splendido dominatore del web, a essere del tutto ininfluente nella vita reale?”.
Lo stridore di questi estremi, tra cui non paiono esservi dei punti di contatto (o, laddove esistano, la tendenza all’ebrezza all’onnipotenza diventa sconfinata per l’individuo), fa sì che la sua traduzione politica si sostanzi in varie forme di incomunicabilità o di violenza irrazionale.
Da una parte c’è la convinzione - quasi religiosa - sulla perfezione dei ragionamenti che si fanno, delle decisioni che si assumono, o degli atti che si sottoscrivono. Dall’altra c’è la contestazione “a prescindere”, perché “di là c’è il male assoluto”, che finisce per allontanare l’altro come un reprobo, un usurpatore, sempre e comunque, delle circostanze che si prospettano. E la gente comune sta a guardare: tifando o di qua, o di là.
Eppure la convinzione pressoché fideistica (io solo posso fare il Bene), potrebbe trovare essa stessa degli utili elementi di correzione, in una esistenza veramente comunitaria; vissuta in rapporto con gli altri, che non sempre sono il “Male”. “Altri” che, a loro volta, dovrebbero considerare colui che “si crede un Dio” come un soggetto fallibile, del tutto umano, talvolta anche bisognoso di conforto.
Mai di commiserazione. Ché, altrimenti, la respingerebbe con gran fracasso mediatico. Tutti noi siamo figli della scolarizzazione e della distruzione di ogni forma di vita comunitaria che dovrebbe presupporre - quale unico elemento aggregante - una virtù ormai dimenticata: la modestia.
E pure l’umiltà di ricercare - anche con altri di opposto schieramento politico - delle modeste convergenze su temi concreti. Un bel segno, in questo senso, lo hanno dato quelli (da Giorgia Meloni e Antonio Tajani) che si sono dichiarati disponibili a mettere di lato, per un momento, le contrapposizioni politiche per perseguire un obiettivo più alto, quello di salvare la Capitale d’Italia da un debito che tutti hanno contribuito a fare, chi più chi meno.
Pur non potendo ignorare che il loro forzuto alleato elettorale ha alzato la bandiera - vetusta e sgangherata - della “morte a Roma ladrona”.
Sperando che questa arma di distrazione di massa faccia dimenticare la sua insipienza come ministro degli Interni. Un ministro della Repubblica italiana, che ha Roma quale Capitale, non dovrebbe mai tirarsi indietro ove si possa salvarla dallo schianto. Anche se egli proviene dalle brume padane.
Aggiornato il 07 maggio 2019 alle ore 13:37